Nel Meclemburgo succede tutto cinquant’anni dopo. Questo è quello che diceva Bismarck del povero (in tutti i sensi) Land tedesco. Dalle ceneri dell’Est fino all’Afd e ai rifugiati (not) welcome che cosa resta oggi? Scomodare la lunga lista di aggettivi qualificanti la rabbia, la frustrazione e l’ignoranza sarebbe troppo facile. Lo sa bene il documentarista Dieter Schumann che con “Neben den Gleisen”(vicino ai binari) osserva l’umanità piccola e smarrita di fronte alla globalizzazione, attorno ad un chiosco-bar di Boizenburg sull’Elba, 10.000 abitanti, presso l’omonima stazione, appunto. Lavoratori di notte della vicina fabbrica di caramelle, pensionati, nostalgici della fu DDR, destinatari del welfare, giovani disoccupati. Chiacchiere attorno al bancone sul passato, presente e forse il futuro, mentre gruppi di rifugiati scendono dal treno per dirigersi verso il vicino centro di accoglienza, oppure ne prendono un altro verso Amburgo, rincorrendo il loro german dream. Due mondi che si incontrano e corrono narrativamente su binari quasi opposti: storie di fuga dalla guerra e leggende metropolitane di presunti stupratori e mangiatori di bambini (déjà vu?) come conferma Facebook.

Tra i discorsi da bar, letteralmente e non, resta il margine e la speranza per la compassione sui destini altrui, ovvero non sono tutte uguali le baracche della Storia? In fondo, la ragazzina con i piercing che dice che sui rifugiati “se ne sentono tante” racconta anche della sua amicizia con un giovane siriano, da cui ha imparato anche l’arabo. Forse qui risiede davvero la forza di questo piccolo documentario, nelle contraddizioni degli sconfitti, aggrappati alla boa di un ritrovo, con tutta la forza che resta nella voglia di essere una comunità reale, fisica; tutto quello che ancora non è possibile scorrere online. Schumann va lì, dove i commenti e i like non arrivano; con pazienza e distaccata complicità ascolta discorsi politicamente scorretti, contro tutti, contro il sistema, e alla fine diventa quasi difficile trovare “lo straniero”. Roman è un polacco quarantenne che lavora in un mattatoio, con orgoglio mostra una foto che lo ritrae come impiegato modello del mese e non ha tempo di tornare spesso in Polonia, deve lavorare, così come Wanja, un russo impiegato nella fabbrica di caramelle ma chiropratico nel paese di origine. A turno gli avventori del bar si fanno massaggiare il collo e lenire i reumatismi della vita.

Il german dream abbraccia tutti, non c’è scampo.