Non sta andando per il meglio il tour di «riabilitazione» di fronte al mondo avviato dall’erede al trono saudita Mohammed bin Salman in seguito all’assassinio, di cui è ritenuto il mandante, del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, lo scorso 2 ottobre nel consolato saudita di Istanbul.

Certo il principe ereditario ha ricevuto accoglienze senza precedenti dall’alleato presidente egiziano al-Sisi e i leader tunisini quasi gli baciavano le mani quando ha assicurato al paese nordafricano un prestito a tassi agevolati di 500 milioni di dollari e il finanziamento di progetti per 120 milioni di dollari.

Ma la società civile tunisina e i sindacati hanno contestato con forza la sua visita rappresentando i sentimenti di milioni di persone nei paesi arabi. E al G20 di Buenos Aires il principe saudita non è stato accolto a braccia aperte. Un giudice federale argentino su richiesta di Human Rights Watch, ha avviato una indagine preliminare sul principe per crimini di guerra commessi in Yemen, paese soggetto a una dura campagna di bombardamenti aerei sauditi dal 2015 per decisione proprio di Bin Salman.

In aggiunta a ciò, il Canada ha annunciato sanzioni contro 17 cittadini sauditi sospettati di essere legati al brutale omicidio di Khashoggi. Sanzioni che comunque colpiscono solo degli individui perché il Canada si è guardato bene dal cancellare un contratto multimiliardario per la vendita di mezzi militari blindati a Riyadh.

Prima di partire per la capitale argentina, Donald Trump ha detto che desidera avere un colloquio Mohammed bin Salman ma che l’incontro non è ancora stato organizzato. Tuttavia l’agenzia americana Ap, almeno fino a ieri sera, tendeva a escludere un faccia a faccia tra il presidente e il principe saudita. Su Trump pesano anche le pressioni dei senatori Usa che non condividono la decisione della Casa bianca e del segretario di Stato Pompeo di tenere fuori il principe saudita dal caso Khashoggi – per evidenti interessi strategici ed economici – arrivando al punto da sconfessare un rapporto della Cia che chiama direttamente in causa Bin Salman.

Così, di fronte all’amministrazione che riafferma anche la volontà di continuare a sostenere la coalizione a guida saudita che bombarda in Yemen, il Senato Usa con un voto bipartisan ha deciso di portare avanti un progetto di legge che chiede la fine del coinvolgimento degli Stati uniti nella guerra contro i ribelli sciiti yemeniti. Diversi senatori repubblicani si sono espressi a favore, in risposta all’assenza del direttore della Cia, Gina Haspel, dal briefing che ha preceduto il voto.

Il motivo è evidente. Haspel sarebbe stata costretta a confermare il coinvolgimento di Mohammed bin Salman nel complotto per l’eliminazione di Khashoggi. Un sì al provvedimento è giunto anche da Lindsey Graham, repubblicano della Carolina del Sud che tante volte in passato si è schierato con il presidente Trump ma che da settimane insiste per fare piena luce sul caso Khashoggi.