Della morte del punk si discute ormai da decenni, e in un certo senso è inevitabile. Bruciarsi in fretta è una vocazione più che una scelta, poi i decenni passano, qualcuno muore, qualcuno scompare e qualcun altro continua a fare dischi. Billy Idol rientra in quest’ultima categoria, ormai sessantenne non si è ancora stancato di sventolare la bandiera della Generazione X. Se l’impresa ha ancora un senso, il pubblico lo scoprirà il 21 ottobre, quando uscirà Kings and Queen of the Underground, nuovo lavoro in studio a nove anni di distanza da Devil’s Playground.

Un album che si presenta come ritorno alle origini, tra distorsioni, ritmi serrati e quel tocco di glam al quale il cantante britannico non ha mai voluto rinunciare, inossidabile e per nulla preoccupato dal passare del tempo e delle mode. I dubbi di operazione nostalgia, ci sono tutti: i capelli biondi sparati verso l’alto sono quelli di sempre, la voce pure, lo sguardo da rockstar inconfondibile: il pioniere del punk è tornato, ma il punk è ancora vivo?
Chi lo ha visto dal vivo – al Rock in Roma – giura di essersi divertito da matti, e tanto basta, per il momento. E, a questo punto, viene da domandarsi se l’essenza del punk non sia proprio la nostalgia. Johnny Rotten gridava nel microfono che «non c’è futuro», Billy Idol, da leader dei Generation X, imitava un po’ Elvis e un po’ gli Stones, ma il senso è uguale, ed entrambi continuano ad esibirsi sopra un palco, quasi 40 anni dopo.

Era il 1977, era solo l’inizio. I gruppi di allora si sono sciolti nel giro di poche stagioni, o hanno stravolto le formazioni fino a diventare un’altra cosa, oppure ancora hanno cambiato stile e ragione sociale per mettersi a fare altro. Il punk è morto perché era nato per morire in fretta.
Gli anni ’’80 di Idol avrebbero portato alla svolta verso lidi diversi e commercialmente più convenienti. Le influenze pop lo portarono verso l’’inevitabile new wave, tra voce sempre più profonda e un po’ di melodia in più. Ancora oggi, in certi locali, non è raro trovarsi a ballare sulle note di Dancing with myself , grande successo datato 1980. Ma quello di Billy Idol non era solo un percorso musicale: la sua faccia da bello e dannato finì sulle pagine patinate di parecchi rotocalchi e l’onda del successo crebbe fino alla fine degli ’80.

Gli anni successivi, però, segnarono un progressivo e inevitabile declino: i gusti erano cambiati, i giovani degli anni ’80 cominciavano a dedicarsi ad altro, il punk era considerato morto e sepolto, scavalcato dal grunge, per vocazione incapace di scavarsi una nicchia di fedelissimi come hanno fatto i metallari. Gli ultimi dieci anni del secondo millennio, Idol li ha passati lontani dalla musica o quasi ma con qualche incursione al cinema. Tra concerti acustici sempre più intimi e collaborazioni varie, gli anni zero sembravano aver consegnato Billy Idol, il suo stile e la sua musica al dimenticatoio.

La resurrezione è datata marzo 2005, con l’uscita di Devil’s Playground, disco vecchio stile dal buon esito commerciale che ha riacceso la speranza dei vecchi fan e che si è inserito nel solco del rinato interesse per il punk. La vita è ricominciata con una serie di tour mondiali, per capire se dal vivo è ancora la stessa cosa bisognerà aspettare domenica 23 novembre, quando Billy Idol sbarcherà al Fabrique di Milano.