Una storia artistica lunga un quarto di secolo, quella degli Smashing Pumpkins, nata nel 1988 per volere di due ragazzi, due chitarristi, di Chicago. Billy Corgan e James Iha. Tre anni più tardi l’uscita del loro primo album, Gish, a cui fece seguito nel 1993 il celebrato Siamese Dream. Erano gli anni in cui sulla costa nordovest degli States, a Seattle, si andava affermando una nuova scena musicale, il grunge, scena a cui anche Corgan e compagni (diventati intanto un quartetto con l’arrivo della bassista D’Arcy e del batterista Jimmy Chamberlin) furono accomunati, sebbene lo stile pur avendo delle affinità – una matrice hard rock – si differenziava per influenze shoegaze e gothic non presenti in gruppi grunge come Nirvana, Alice in Chains o Pearl Jam.

Tra alti e bassi, tra abbandoni e vicissitudini di ogni tipo, tra problemi di tossicodipendenza e contrasti interni e dopo uno scioglimento durato qualche anno, nel 2007 Billy Corgan riprende in mano le redini e riparte, con una formazione completamente inedita, e con un disco, Zeitgeist. Ma il vero nuovo corso della band prende avvio nel 2009 con l’annuncio di un progetto, dal titolo Teargarden by Kaleidyscope, che prevedeva l’uscita di tre album, il secondo dei quali, Monuments to an Elegy (Bmg) è stato appena pubblicato. Un album che rende chiaro, semmai ce ne fosse bisogno, quanto i Pumpkins siano sempre più una creatura esclusiva di Billy Corgan, con una formazione rinnovata per l’ennesima volta – unico superstite di Zeitgeist è il chitarrista Jeff Schroeder – che vede alla batteria quel Tommy Lee, noto ai più per essere il batterista dei Mötley Crüe nonché compagno di vita (e di avventure…) di Pamela Anderson. Un lavoro in cui, anche rispetto al precedente Oceania, uscito un apio di anni fa, Corgan sembra voler ricalcare i vecchi tempi, con brani semplici, certamente meno “rock”, dall’andamento più rilassato e sereno, sebbene, eccezion fatta per il brano d’apertura Tiberius, sembra mancare quel guizzo, quel genio che è stato per anni il suo tratto distintivo. Proprio da questa considerazione siamo partiti per conoscere dallo stesso Corgan cosa bolle nelle “zucche”.

“Volevo che questo disco rappresentasse la mia parte buona, quella in cui mi comporto bene, in contrapposizione all’altro, che rappresentava la mia parte cattiva. I dischi sono come una commedia di Shakespeare, sono quello che sono. Tu abiti lo spazio, e poi quando avviene, avviene. Questo è il miglior modo che ho per descriverlo. E’ un personaggio o un modo di essere. Quando sono in modalità Monuments, penso in un certo modo, sento in un certo modo, mi muovo in un certo modo. Mi fermo solo quando sento odore di stantio, e non è questo il caso. Vedi, a volte si pensa che la più piccola conversazione sia insignificante. Poi, quando ti guardi indietro capisci che in realtà era la conversazione più importante”.

Un pensiero vagamente criptico, il suo, ma che si può comprendere se si pensa che Monuments of an Elegy è solo una parte di un progetto più ampio che è appunto Teargarden by Kaleidyscope: “Teargarden by Kaleidyscope, che ho cominciato nel 2009, era una sorta di processo emozionale a cui giungevo dalla posizione esterna in cui mi trovavo – e cioè “sono l’unico membro rimasto degli Smashing Pumpkins, che cosa sto facendo? Dovrei andare avanti?” – a una posizione, si spera, centrale, quella che mi piace pensare di aver trovato nel nuovo album; spero di aver trovato uno spazio nella band, nella sua sfera musicale; sono molto esaltato da questa cosa e dal fatto che vedo un futuro per il gruppo. Teargarden… nella mia intenzione era un processo dal quale, attraverso una successiva serie di lavori, avrei ritrovato in qualche modo la mia via verso il centro, cioè da una posizione esterna alla scena mainstream commerciale a un ruolo più interno. Nonostante il disappunto di più di un fan avrei intrapreso quel viaggio che va dall’arte all’artificio, da un’idea artistica a un’idea cristallina del pop”.

E un processo che si avvia alla conclusione con la pubblicazione di Day for Night, album la cui uscita è prevista per il 2015 e che potrebbe far pensare a una sorta di “nuovo” Mellon Collie, ossia due facce della stessa luna, la prima, Monuments, più facile e luminosa, la seconda, Day for Night, più cupa e dura: “Ci stiamo lavorando ed effettivamente può sembrare così, l’altra faccia musicale della luna, anche se è presto per dirlo. Al momento sembra essere un lavoro più profondo, meno estroverso e più personale,una bella scommessa. Avremmo potuto fare un album doppio, ma non mi sembrava il momento giusto. Ma ora, nel processo di separazione, il secondo lavoro sta cambiando più di quanto avevo immaginato. Insomma, sono connessi ma sono due dischi completamente separati. Day for Night sta venendo fuori più sperimentale. Stiamo usando delle basi, dei loop, vorremmo realizzare un disco “contemporaneo”, usando i metodi che la gente usa per fare musica oggi”.

Dagli esordi a oggi l’unico punto fermo del gruppo è stato lo stesso Corgan, il che porta a considerare gli Smashing Pumpkins più un suo progetto, una sua “espressione” artistica che non una vera e propria band, con una sua struttura e una sua anima: “Non sarò mai in grado di trovare le stesse sinergie in una band. Ad esempio che una band possa essere unita e solida solo perché tutti veniamo da situazioni simili, stesso ambito e classe sociale, sempre insieme nello stesso furgone. Nemmeno posso cercare cercare di comporre pezzo dopo pezzo una band solo perché ti chiami Smashing Pumpkins: forza venite, gente. C’è un livello di finzione che non puoi superare perché gli attuali musicisti non erano lì per quelle prime esperienze, e non importa quanto provino ad aiutarti a crearne di nuove, c’è sempre qualche barriera che insorgerà. Jeff Schoeder è riuscito a superare questa barriera, questo concetto, perché è passato dall’essere un fan all’essere uno giusto, qualcuno che ora è all’interno del mondo della band e che sa come la band lavora, anche se è solo una costruzione emozionale. Così ho abbandonato l’idea di “band” e vedo i Pumpkins più come “una testa collettiva”, e gli show che faremo puntano a rappresentare questa nuova intentità, anziché una cosa più tradizionale come “questa è la band, questa è la nostra foto, ecco cosa facciamo e da dove veniamo”. Penso che al pubblico non interessi più. Per quanto mi riguarda mi sento più un regista. Decido cosa voglio fare e in base a questo scelgo con chi farlo, e al momento con me ci sono musicisti incredibili. Mark (Stoermer, ndr) e Brad (Wilk, ndr) vengono da due band fantastiche (The Killers e Rage Against the Machine. I due, non presenti in studio, faranno parte della line-up durante il prossimo tour, ndr), hanno portato nel gruppo grande entusiasmo ed esaltazione e ora la gente può vedere gli Smashing Pumpkins in un modo completamente differente rispetto a cosa hanno visto finora”.

Corgan è deciso a guardare avanti e a non fermarsi, ma non rinnega il passato e ben poco cambierebbe di quanto fatto nella sua carriera: “Diciamo che forse prenderei quattro brani da Mellon Collie e li farei più corti. E’ scioccante vedere come lo stile di produzione fosse così grezzo eppure così avanti. E’ uno stile di produzione scuro. E’ invecchiato bene perché forse è suonato con una ferocia che bilancia quello che avviene in un disco moderno in cui si lavora con il computer e dove tutto è perfetto. Molte di quelle take furono suonate live. Prendi un pezzo come Tonight, Tonight, è praticamente un pezzo dal vivo con un’orchestra registrata a sua volta sopra. C’è grande passione in quella musica. Intendo dire che in un certo senso siamo imperfettamente perfetti, e in giro non si sente più tanto. La cosa strana è che sembra avere una forza e un impatto più contemporanei di una cosa tutta impeccabile e perfetta”.