Nella «serializzazione» di Fargo, Billy Bob Thornton interpreta un killer spietato e filosofo, un misto dei due malviventi del film (Steve Buscemi e Peter Stormare), e il personaggio di Javier Bardem in Non è un Paese per Vecchi. Per lui attore/regista/sceneggiatore dalla traiettoria hollywoodiana obliqua, declinata nei film indie, è un approdo abbastanza tardivo al format in cui confluisce ormai un numero sempre maggiore di attori ed autori. Sono transfughi da uno studio system sempre più improntato ai «blockbuster», un divertimentificio industriale fondato sui fantasy da botteghino e su numeri da multisala. Un mondo di budget da centinaia di milioni che ha sostanzialmente cancellato la fascia intermedia degli «adult drama» in cui hanno vissuto generazioni di filmmaker «autoriali» americani. Thornton che ha vinto l’Oscar nel 1996 con Lama Tagliente ha all’attivo collaborazioni artistiche con Alex Cox, Robert Duvall, Oliver Stone, i Coen, Sam Raimi, Barry Levinson e Terry Zwigoff. È il tipo di curriculum che oggi come oggi – dopo le pacche sulle spalle – ti può far ritrovare disoccupato – oppure entusiasta neofita di fiction tv…

Come hai deciso di lavorare su Fargo?

Dal 2006 per circa tre anni non ho quasi lavorato, in gran parte perché il genere di film che a me piace fare sta scomparendo. Credo che una figura di scrittore-regista come me nel cinema di oggi sia sempre più fuori posto, e da tempo pensavo alla televisione. Quando è arrivata la proposta di Fargo è sembrata quella giusta; Noah (Hawley, creatore della serie) aveva scritto una bellissima sceneggiatura, il materiale aveva già il pedigree dei fratelli Coen che avevano approvato il progetto.

E così anche lei è arrivato in tv?

Quando ero alle prime armi come attore, negli anni 80, la tv era ancora molto diversa. Era impossile fare certe cose perché la censura era molto più severa. Gli autori avevano le mani legate; se un tizio sparava a un altro quello si metteva una mano sulla spalla e diceva «ah mi hai colpito» e si buttava in terra – era finto, non potevi mostrare la spalla spappolata come si farebbe oggi e come si faceva nei film. Al cinema avevi una libertà creativa impensabile sul piccolo schermo. Adesso è il contrario. Non solo puoi fare quello che vuoi in una serie, ma nel frattempo il cinema subisce più censure perché i film sono mirati a target demografici giovanili e devi venderli al maggior numero di spettatori nel maggior numero di territori, cioè al minimo comune denominatore. Non bisogna fumare ad esempio, quindi se hai un personaggio eroinomane, quello non deve fumare! In tv intanto ormai si fuma tranquillamente…. E poi c’è il discorso della generazione del baby boom, il loro cinema ormai è diventato il salotto.

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Basta cinema, allora?

A Hollywood ormai si va avanti esclusivamente con kolossal fantasy, film di superperoi. Per un film indipendente al massimo ti danno un budget di 3-4 milioni di dollari ma allo stesso tempo chiedono che ci siano dentro delle star. Al posto di quei film da 20-30 milioni che una volta facevano gli studios ora ci sono le serie. Nel caso di Fargo si tratta in sostanza di un film di… dieci ore. Per un attore è una bella soddisfazione, è un bel po’ di lavoro e ti lascia anche del tempo libero per fare altre cose. Spero che in futuro altre emittenti seguano l’esempio di Hbo e di Shotwime che producono serie ma anche film per la tv, lungometraggi di un’ora e mezza-due che possano trovare una collocazione sul piccolo schermo. Ormai è diventato praticamente impossibile farsi finanziare un film, soprattutto se esulano dagli schemi commerciali. Sono certo che il flusso di registi e sceneggiatori verso la televisione sarebbe ancora maggiore di quello che è oggi. Oppure c’è il format della miniseries, come quella sui Hatfield e McCoy prodotta da Kevin Costner e che magari dieci anni fa sarebbe stato un film indipendente.È incredibile come la gente ormai sia molto più al corrente delle fiction che non di quello che c’è al cinema. Quando esce un mio film magari mi chiamano un paio di amici, ricevo un sms…ma quando stava per andare in onda Fargo mi hanno chiamato persone che non sentivo da anni, dicendomi «non vedo l’ora di guardarla». Certo in parte la ragione è che molto più facile schiacciare i tasti del telecomando che non uscire e andare al cinema. E poi l’atmosfera intorno ad alcune delle produzioni televisive ricorda quello che si faceva nel cinema indipendente negli anni 90, quando io, Quentin Tarantino, Ted Demme e Nick Cassavetes e un po’ di altri ci frequentavamo e lavoravamo assieme. Io avevo scritto Qualcuno sta per morire (1992) con Tom Epperson e Quentin aveva appena finito Le Iene e c’era nell’aria un senso di elettricità; pensavamo che fosse un rinascimento. Purtroppo si è rivelato il rinascimento più corto della storia (ride).

Ma non si rischia di perdere un’intero patrimonio abbandonando il cinema?

È una buona domanda, ma la risposta è che l’abbiamo perduto da tempo; «l’esperienza» del cinema ormai non esiste più. Già dal momento in cui i vecchi cinema di quartiere sono stati sostituiti dai multisala, quell’esperienza si è irrimediabilmente modificata. Avere 20 piccole sale una accanto all’altra in un centro commerciale non ti dà la stessa emozione viscerale. Oggi la gente va al «cinema» e con un occhio controlla i messaggi sul telefono, non è più la stessa cosa. La televisione almeno offre un’alternativa, soprattutto nei contenuti che sono spariti dai film. Gli studios non sono imperi del male ma sono delle aziende che vogliono fare profitti e vendono ciò che la gente compra. Quindi se chi ha più di 40 anni al cinema non ci va più, beh allora in un certo senso non ci possiamo lamentare se i film sono fatti esclusivamente per i ragazzi.