Per chi non ha avuto la fortuna di vederla calpestare un campo da tennis in erba o in cemento, indoor o in terra battuta, si deve ricorrere agli special tv o all’inevitabile Youtube per raccontare Billie Jean King, campionessa leggendaria, atleta che ha fatto la storia dentro e fuori il court, californiana di Long Beach oggi over70, ricordando il suo potente gioco d’attacco, molto aggressivo con colpi al volo e profondi diritti lungolinea.
Una ferrea determinazione e una voglia di giocare e principalmente vincere, spiegata nella sua autobiografia Tutto in gioco (La nave di Teseo, pp. 670, euro 20, traduzione di Salvatore Serù; titolo originale All In, scritta con l’aiuto di Johnette Howard, sportswriter e Maryanne Vollers, ghostwriter) dove racconta la sua lunga metamorfosi e tutte le battaglie affrontate per diventare una donna veramente libera. Una pioniera assoluta dell’eguaglianza di genere nello sport, una lesbica, allegra e felice, che è riuscita a rendere il mondo un posto migliore per le generazioni future.

UN MODELLO di comportamento positivo per svariate generazioni statunitensi, un’icona di libertà come Ruth Bader Ginsburg la prima giudice della Corte Costituzionale o Rosa Parks, la prima afroamericana a ribellarsi apertamente contro le ingiustizie.
Figlia di un pompiere e di una casalinga, Billie Jean nata Moffitt e poi da sposata King, è stata una bambina iperattiva e curiosa che amava il gioco della palla e la competizione in un’epoca, gli anni 50, dove il talento femminile era boicottato al massimo («quello che mi appariva più evidente era che il mondo che desideravo non esisteva ancora. Spettava alla mia generazione crearlo»). Impara a giocare a tennis con le lezioni gratuite di Clyde Walker, uomo affabile e gentile, ma in aperto conflitto quando rifiuta di insegnarle, come fa con i ragazzi, l’american twist, il servizio in topspin con rimbalzo laterale oggi chiamato kick (e utilizzato spesso per la seconda palla di battuta), senza dire esplicitamente che le ragazze erano troppo delicate per avviare il gioco in quel modo, naturalmente Billie Jean studia i movimenti e ci riesce alla prima prova. Il passaggio a ragazza anticonformista con un solido entusiasmo è veloce come il suo gioco sottorete, fatto di volèe incrociate, smash e smorzate tuttavia Little Miss Moffitt, adolescente sovrappeso e quattrocchi, non potrà sfuggire agli apprezzamenti sulla bellezza muliebre (il suo allenatore, Frank Brennan, le disse «sarai vincente perché sei brutta» dopo averle predetto che sarebbe diventata n°1). Per molte stagioni mangerà panini e colazioni al sacco, viaggiando tra autobus e passaggi in auto, per partecipare ai tornei di tennis femminili juniores allenandosi pesantemente nel cortile di casa, con ogni genere di training per irrobustire gambe e acquisire fiato.

Finalmente a 17 anni, coronerà il sogno di andare a Wimbledon (finanziata da filantropi della pallina) e vincerà il doppio femminile, insieme con Karen Hantze Susman, 18 anni all’epoca, la più giovane coppia di sempre ad alzare la coppetta d’argento con gli ampi manici, chiamata The Duchess of Kent Challenge Cup, nel 1961.
Nonostante il successo, la giocatrice part-time non partecipava a tornei per settimane di fila, svolgeva lavori umili per pagarsi le spese (inserviente per asciugamani e materiali in un club d’atletica) e si definiva una «conservatrice morigerata» che si portava appresso la Bibbia nelle sue trasferte tennistiche. Guardava con curiosità alle manifestazioni contro la guerra del Vietnam e al nascente movimento femminista giudicato troppo radicale, poco amati anche gli hippies e la controcultura psichedelica però i mutamenti portati avanti dalle battaglie per i diritti civili cambieranno per sempre anche il tennis.

LO SPIRITO DI RIVOLTA soffierà anche in quel passatempo di società inventato da vittoriani facoltosi nella campagna inglese. Billie Jean sempre in difficoltà economiche per le misere diarie offerte alle giocatrici «dilettanti» dalla Uslta, la federazione, avrà la sua opportunità di migliorare in una lunga permanenza in Australia dove si allenerà coi colleghi maschi, nel palleggio «a tre», due contro uno, un tennista a rete e uno a fondocampo che la facevano correre a perdifiato per il campo a ribattere le palline. E diventerà presto la numero 1 del mondo compiendo una carriera prestigiosa, vincendo in mezzo mondo, tornei nazionali o del Grande Slam fino alla nascita dell’era Open col professionismo e del circuito tennistico femminile per combattere le discriminazioni e gli insulti (««nessuno vuole pagare per vedere voi pollastrelle giocare» gli dirà Fred Stolle, uno dei campioni australiani) avanzando rivendicazioni per le donne (parità a tutti livelli, anche nei montepremi). E impegnandosi in prima persona nel circuito di tornei solo femminili, il famoso (e sponsorizzato) Virginia Slims, con le 9 tenniste che vollero prendere il controllo del loro destino sportivo.

Un altro passo importante fu lo scontro con Bobby Riggs, campione degli anni 40, sostenitore della superiorità dei maschi bianchi nei confronti delle donne e dello scarso valore delle tenniste, tanto da battere clamorosamente 6-2, 6-1 Margaret Smith Court, una delle più grandi tenniste dell’epoca, nel primo incontro uomo contro donna. Presuntuoso e guascone, volle sfidare Billie Jean in un match allo Houston Astrodome, il 20 settembre 1973, intitolato La battaglia dei sessi (qualche anno fa diventato pure un film con Emma Stone e Steve Carell).
Davanti a trentamila persone sugli spalti e oltre novanta milioni di telespettatori, Riggs aveva 55 anni, 30 Billie Jean che si preparò meticolosamente sia curando la forma fisica sia elaborando una tattica precisa (con pallonetti e colpi incrociati) per stancare e distruggere l’avversario. Così, King vinse per 6-4, 6-3, 6-3. «Ho pensato che saremmo tornati indietro di cinquant’anni se non avessi vinto quella partita. Avrebbe rovinato il circuito femminile e fatto perdere l’autostima a tutte le donne».

La sua vittoria rivoluzionò per sempre lo sport femminile e diede un impulso decisivo alla parità di genere in tutti i campi. Una carriera spettacolare – per sei anni numero uno al mondo, venti volte trionfatrice del torneo di Wimbledon, vincitrice di trentanove titoli del grande slam, ma ha pure giocato, organizzato e combattuto per il tennis femminile, fondando la Wta, Women’s Tennis Association, inventando un giornale e facendo la commentatrice tv.

CON RIFLESSI PESANTI sulla sua vita privata finita sotto l’interesse dei tabloid con la causa intentagli da Marylin, la sua parrucchiera e amante, per chiederle una liquidazione. Ancora sposata con Larry, King ammise l’affaire sentimentale come un peccato veniale ma i pregiudizi sociali contro l’amore tra donne la travolsero, facendole perdere tutti i contratti pubblicitari. A 38 anni dovette rimettersi a girare per i tornei per pagare gli avvocati e le bollette.
Per molti anni King ha avuto dubbi e sentimenti contrastanti sulla sua sessualità, causata dalla rigida educazione familiare. Poi, dopo aver combattuto a lungo i disturbi alimentari e i disastri finanziari, ha finalmente scoperto la sua identità più vera, vivendo senza menzogne, e dichiarando pubblicamente il suo amore per Ilana, la compagna sudafricana da tanti anni, trasformandosi in un esempio per tutte le persone Lgbtq+ come la sua amica transgender Renée Richards. Il ponderoso tomo, avvincente come un romanzo, si conclude con una lunga appendice comprendente i risultati, anno per anno (anche quelli internazionali come rappresentante Usa). Nel suo cuore c’è anche un pezzo d’Italia, lei campionessa nel singolare femminile agli Internazionali d’Italia del 1970 e al Roland Garros di Parigi nel 1972, non ha mai dimenticato l’incitamento del pubblico romano. Forza Guglielmo, dai (le venne spiegato che Guglielmo significa Piccolo Bill, un vezzeggiativo). Gioco-Partita-Incontro per l’esuberante Billie Jean.