Chiunque abbia lavorato per più di cinque minuti in una casa editrice sa che un best-seller non si costruisce a tavolino. Certo ci sono libri che partono avvantaggiati e corrispondono alle aspettative, ma si tratta quasi sempre di opere scritte da maratoneti della scrittura, capaci di raccogliere intorno a sé, titolo dopo titolo, un pubblico vasto e fedele, pronto a scaraventarsi in libreria non appena esce un loro nuovo volume.
Guai però a pensare che la celebrità sia garanzia sufficiente per vendite eccezionali, soprattutto se la celebrità si misura sulle migliaia o i milioni di followers. Se n’è accorta da poco la casa editrice americana Grand Central che la scorsa primavera ha pubblicato Billie Eilish, autobiografia per immagini della giovanissima cantautrice statunitense. Non un capolavoro, a dare credito a Rich Juzwiak, che sul Los Angeles Times, parla di «un libro di foto corredate da sporadiche e concise didascalie» e aggiunge che «per essere una persona così particolare sul piano estetico, la vaghezza di Eilish nel descrivere questi scatti perlopiù amatoriali suona sorprendentemente fasulla».

E tuttavia, un titolo a dir poco promettente riguardo alle vendite, se si pensa che su Instagram la pop star ha 97 milioni di seguaci (e 6 milioni su Twitter). Invece, scrive sul New York Times Elizabeth A. Harris, il libro «in copertina rigida ha venduto 64mila copie da quando è uscito in maggio, in base ai dati di NPD BookScan, che registra i risultati della maggior parte dei libri pubblicati negli Usa: non necessariamente un numero deludente, a meno che Billie Eilish non abbia ricevuto un grosso anticipo. Il che, ovviamente è accaduto: il libro è infatti costato all’editore ben oltre un milione di dollari».Si può fare di peggio: per esempio Wake Up: Why the World Has Gone Nuts di Piers Morgan, giornalista nonché giudice di Britain’s Got Talent e di America’s Got Talent, con un seguito di poco meno di 8 milioni su Twitter e di 1,8 su Instagram, ha venduto in America appena 5650 copie cartacee da quando è uscito nel 2020 per HarperCollins. E anche le centomila copie vendute in tre anni da Hindsight, raccolta di testi autobiografici di Justin Timberlake, «sono ben lontane dalla cifra che l’editore (Harper Design ndr) aveva auspicato». Colpa del fatto che il cantante quando è uscito il libro aveva problemi alle corde vocali e non ha potuto fare il tour promozionale previsto?

Proprio per evitare contraccolpi di questo tipo, «alcuni contratti editoriali adesso specificano il numero di post che un autore o un’autrice deve pubblicare sui social prima e dopo la pubblicazione del volume», spiega Harris, citando Barbara Marcus, presidente di Random House Children’s Books: «Oltre a sentire l’agente e a leggere il manoscritto, vogliamo sapere direttamente dalla celebrità in questione qual è il suo grado di coinvolgimento nel libro».
Ma le cause possono essere diverse, scoprono adesso a loro spese le case editrici dopo avere sganciato anticipi esagerati pensando a folle di ammiratori che si rivelano solo virtuali: «A volte, dicono i dirigenti editoriali e gli addetti al marketing, quello che autrici e autori postano sui social media non corrisponde al tema dei loro libri. O viceversa i libri non forniscono nulla di nuovo rispetto a ciò che le celebrità hanno pubblicato su Instagram o Twitter… o i followers (quelli veri, in carne e ossa, non i bot e neppure quelli acquisiti a pagamento) si rivelano poco coinvolti».
O infine – ultima ipotesi di Harris – «può essere che il libro non sia così buono». Che sia questo il vero motivo di un fiasco? Se non altro, c’è da sperarlo.