La canapa è per sua natura ambigua: si dibatte se la cannabis sativa e la cannabis indica siano due distinte specie; si dibatte sui suoi alcaloidi terapeutici e «ricreazionali»; si dibatte sulla liceità della sua coltivazione e sui limiti ammessi per il contenuto di THC; si dibatte sulla vendita (chi compra la cannabis light se la fuma, ma può essere venduta solo per scopo ornamentale). Ma divenendo un business, ora la canapa si dibatte anche tra una veste rinnovatrice e una da commodity. Secondo uno studio di Euromonitor International, la canapa è destinata a irrompere in molti settori industriali. Al di là del ruolo della fibra, che assume un crescente interesse come isolante in bioedilizia o nella produzione di carta, lo studio prevede una crescita del mercato legale della cannabis del 77% al 2025 quando dovrebbe raggiungere i 166 miliardi di dollari, grazie alla valorizzazione degli alcaloidi naturali che la pianta produce. A partire dal CBD per il quale l’Oms ha licenziato un rapporto in cui illustra il valore terapeutico (nel contrastare ansia, dolore, nausea), sancendone l’innocuità e la natura non psicoattiva. Ma la liberalizzazione della marijuana in Canada e in 10 Stati USA a scopo ricreativo e in 33 Stati USA a scopo medicale, alimenta anche appetiti per il mercato del THC. Protagonisti di questa crescita dirompente sono le grandi corporations: Big Tobacco la vede come star di un rilancio dei consumi, magari associata alle svapo; Big Food ne progetta un ruolo come additivo alimentare o nella riformulazione di soft drinks alternativi alle bevande zuccherate; Big Pharma sta investendo nello sdoganamento di medicinali con THC o nel parafarmaceutico e nella cosmetica a base di CBD. Insomma, si potrebbe assistere all’emergere di un eclettico Big Cannabis. Eppure, un’altra canapa è possibile. Con un significativo ruolo nella rotazione agronomica e nella diversificazione colturale, con una riconoscibilità salutistica dei prodotti come oli e farine aventi buon bilanciamento di acidi grassi e di amminoacidi e con una valorizzazione dei sottoprodotti; la pianta presenta interessanti occasioni nel nostro Paese dove la legge 242/2016 ne ha restituito liceità di coltivazione. È quanto FIRAB e CREA stanno esplorando in Sicilia nel quadro del progetto europeo Diverimpacts.

Di concerto con alcune aziende pioniere nella coltivazione e trasformazione alimentare della canapa, come l’azienda Kibbò e il Molino Crisafulli, lo studio si articola sulla dinamica agronomica (relativa al ruolo in rotazione, al profilo di sostenibilità, alla pertinenza del clima siciliano, agli usi delle paglie), ma anche al potenziale di filiera e commerciale, guardando al mercato dell’olio di canapa per le sue valenze antinfiammatorie o alla miscelazione di farina con la semola di grano duro perprodurre pasta. Ragionando sulla sicilianità dei prodotti come leva di marketing, associando altri produttori che si vanno avvicinando a una coltura che quest’anno dovrebbe vedere le superfici crescere nella regione. La teoria dell’innovazione ragiona dai primi anni 2000 di evoluzione delle nicchie a «regime» per renderle parte di un business a più ampia scala: il nostro lavoro siciliano vuole capire se, con Big Cannabis in agguato, questa evoluzione sia davvero la strada da perseguire.