Un blog di musica contemporanea «colta», altrimenti detta «classica». Non è proprio una cosa consueta. Specie se i compositori che lo animano dichiarano a chiare lettere che oggi la musica contemporanea deve molto al rock, alla techno, all’elettronica d’uso, anzi: che la musica contemporanea, oggi, è rock eccetera, oltre alle «normali» suite, sonate, sinfonie, quartetti, pezzi sparsi con aggiunta di video, mini o maxi melodrammi scritti secondo gli ormai inrintracciabili criteri-base delle accademie. Le quali accademie sono state fatte a pezzi, come minimo squassate, non da rockmen e jazzmen e technomen (e women, s’intende) ma proprio da personaggi a cui si deve la stessa definizione «musica contemporanea». In modo maggiore o minore (niente a che vedere con l’organizzazione tradizionale dei suoni) l’accademia non è stata forse distrutta dagli Stockhausen e dai Maderna, per non parlare dei Kagel e Cage? Personaggi storici, tra l’altro defunti. Eppure se si esce dai luoghi di formazione di questi personaggi storici, ma sovversivi, se si esce dal modo di pensare la musica che li rende in qualche modo eredi della Grande Musica dei secoli andati (prima di tutto attraverso l’uso del pentagramma), la «musica contemporanea» non si sa più che cos’è. Ma, zucconi, è quella cosa lì: è Klavierstück X di Stockhausen ed è The End dei Doors, è il Concerto per oboe e orchestra n. 3 di Maderna ed è Topography of the Lungs di Evan Parker-Derek Bailey-Han Bennink, è Visage di Berio ed è Black Sea di Fennesz.

Bene. Tutto chiaro. I blogger di /nu/thing (tutti compositori tra i 30 e i 40 anni: Andrea Agostini, Daniele Ghisi, Raffaele Grimaldi, Eric Maestri, Marco Momi, Andrea Sarto) alludono a tutto questo e portano a Venezia per la 57ª Biennale Musica (4-13 ottobre) una scelta di pezzi brevi, una loro playlist, così designata tanto per avvicinarsi ancora di più al modo di consumare musica che ignora le accademie e si colloca nell’universo digitale. La loro playlist non comprende né brani rock o post-rock o art-rock né brani noise d’uso né brani free-jazz. Comprende dei brani di «musica contemporanea» come normalmente la si intende, sia pure brani prevedibilmente extravaganti. Perché, poi, si ha un bel dire che i generi non esistono più, che tutto si mescola e il rock storico e il jazz e l’elettronica da centro sociale rappresentano la musica del nostro tempo come Stockhausen, Maderna, Berio, Kagel, Cage e i loro discendenti (a cominciare da Sciarrino, tanto per fare un nome, non del tutto a caso). Ma le musiche che fanno parte della «contemporanea» canonicamente intesa si riconoscono, si distinguono da quelle che fanno parte di un altro mondo dei suoni (c’è chi lo definisce «popolare» ma fa ridere: i Rolling Stones e Butch Morris tutti e due «popolari»?).

In ogni caso c’è molta curiosità per il concerto del 6 ottobre (ore 15, Ca’ Giustinian) ideato dal collettivo /nu/thing. Una «composizione» – si potrebbe chiamare suite ma si chiama rigorosamente playlist – a sei firme di degustatori e compilatori che mettono assieme tredici brani di nove autori: Usavich, Fabio Cifariello Ciardi, Kristian Ireland, Emanuele Casale, Valerio Murat, Chris Swithinbank, Simon Steen-Andersen, Aurélio Edler-Copes, Mario Diaz de León. Brani che durano da un minimo di 1’30’’ a un massimo di 10’. il manifesto si è occupato (21 novembre 2012) dei due in programma di Cifariello Ciardi, indubbiamente stimolanti e graziosamete dissacranti: si tratta delle traduzioni in suoni (con relativi video originali) di discorsi di Tony Blair e di Barak Obama. Al primo è associata una partituta per flauto, al secondo una per violoncello, entrambi i lavori sono tratti dalla serie Piccoli studi sul potere.

Ma il Festival veneziano quest’anno apre con un evento fortemente spettacolare. Una rappresentazione magica, frastornante, «impossibile», con tasso tecnologico altissimo. Peccato che ancora si senta l’eco nel nostro paese dell’allestimento all’Auditorium di Roma, anzi tra l’Auditorium e il cielo sopra la città, il 18 gennaio 2009, di quello stesso Helicopter String Quartet che Karlheinz Stockhausen scrisse tra il 1992 e il 1993 e che solo nel 1995 ad Amsterdam poté essere realizzato. Però sono passati quattro anni e mezzo dalla data romana, è una grande impresa quella che la Biennale Musica si appresta a compiere. Per la quarta volta nel mondo si osa mettere in scena questa «mostruosa» opera aerea. Al Lido, tra la Sala Grande del Palazzo del Cinema e il cielo, alle 15 del 4 ottobre. Un’altra data destinata a diventare storica. Gli interpreti, oltre ai piloti e ai numerosi tecnici, non possono essere che i membri del Quartetto Arditti, a cui il lavoro è dedicato.

Fu proprio Irvine Arditti, il primo violino e leader del gruppo, a stuzzicare il compositore con la richiesta di una partitura nella forma classica del quartetto d’archi. Stockhausen non ne voleva sapere, quel tipo di organico non gli interessava affatto. Si convinse solo quando l’opera prese nella sua testa dei contorni per niente classici. Fu un sogno a suggerirgli l’idea di far suonare i quattro strumentisti a bordo di quattro elicotteri. E lui, il grande demiurgo delle cosmologie sonore, avrebbe miscelato le linee delle quattro parti (scritte sul pentagramma in quattro colori diversi) col continuum del rombo dei velivoli. Scrisse ventinque minuti di musica ossessiva, più di sfida che di esplorazione incantata del cielo. I problemi di amplificazione e bilanciamento dei suoni e di trasmissione dell’insieme al pubblico che in sala assiste su un grande schermo a questo volo musicale, sono immani. Occorre una regia del suono sapientissima. A Venezia è affidata al tandem André Richard-Thierry Coduys.

Il titolo del festival n. 57 è Altra voce, altro spazio. Il perché della parola spazio si capisce già dall’inaugurazione con l’audacissimo colpo del noto Stockhausen e della sua musica aerotrasportata. Ma più in generale la parola rimanda all’uso, si spera creativo e innovativo (e con i precedenti della rassegna annuale veneziana un po’ di scetticismo va sempre bene), dell’elettronica, vale a dire di dispositivi che hanno tra le loro prerogative quella di far muovere i suoni nello spazio, in direzioni impreviste, possibilmente, di farli viaggiare, di avvolgere l’ascoltatore, di sollecitarlo a trovare altre dimensioni del sé. Cerchiamo queste cose nella playlist di /nu/thing, abbastanza ricca di elettronica e di video. Le cerchiamo nell’opera-performance su musica di Pietro Luca Congedo intitolata Homoiomèreia o della mutazione computazionale (8 ottobre, 17,15 e 20,00, Teatro alle Tese). Le cerchiamo nel concerto del 10 ottobre (17,15, Tese) durante il quale il Lamento della Ninfa di Monteverdi e La lontananza nostalgica utopica futura di Nono avranno come supporto (alla voce di soprano e al violino, rispettivamente) una macchina chiamata Wave Field Synthesis, in pratica un modo per ascoltare in 3D seguendo la provenienza e gli spostamenti nello spazio di ciascun suono.

Una sintesi dei contenuti suggeriti dal titolo del festival viene dall’esecuzione di Altra voce (ma guarda un po’!) e di Ofanim di Berio durante il concerto dell’11 ottobre (20,00, Tese). Lì ci sono voci femminili, voci di bambini e tanta tanta elettronica. Se ne occupano l’Orchestra della Toscana e i maghi del computer di Tempo Reale. E le altre altre voci? Quella di David Moss, anzitutto. Gran guitto, gran virtuoso (9 ott., 15,00, Ca’ Giustinian). Quella di soprano il 5 ottobre alle 20,00 (Tese) per il Berio di Epiphanies. Ma in quel concerto dell’Orchestra del Comunale di Bologna abbiamo la novità assoluta più importante, e riguarda ancora le voci, bianche in questo caso: Fonofania di Claudio Ambrosini, compositore sperimentatissimo e dotato di una rara propensione al piacere, non importa se edonistico.

Salvatore Sciarrino c’è (l’8 e il 10 alle 19,00 al Teatro Malibran con il lavoro teatrale fascinosissimo Aspern, il 10 alle 20,00 a Ca’ Giustinian con i sui Madrigali affidati ai Neue Vocalsolisten Stuttgart). Lecito preoccuparsi se non viene messo in cartellone. Forse si poteva pensare a lui per il Leone d’oro alla carriera: inventore di un idioma del tutto eterodosso. Invece si è dato il premio all’ottantaduenne Sofija Gubajdulina. Magistrale, intensa, moderna e romantica. E spirituale, anzi cristiana. La sua recente opera, nuova per l’Italia, Glorious Percussions, offrirà l’occasione (il 4 alle Tese) di ascoltare insieme all’Orchestra della Fenice i celeberrimi strumentisti delle Percussions de Strasbourg.