In queste ore in tutto il mondo ci si chiede se la Russia di Putin potrebbe intervenire o perlomeno sostenere una svolta repressiva nella Bielorussia di Lukashenko.

Difficile fare previsioni ma i rapporti politici, culturali ed economici tra Federazione russa e Bielorussia da sempre strettissimi – al punto che non più di un anno e mezzo fa si parlava di una possibile unificazione tra i due paesi – fa ritenere che questa ipotesi non sia mai stata presa seriamente in considerazione al Cremlino.

«Putin sta lavorando da mesi a una fuoriuscita “morbida” di Lukashenko» ci dice un deputato della Duma che preferisce restare in incognito. Secondo tale interpretazione, lo zar avrebbe lavorato per portare alla presidenza Victor Babariko, candidato-banchiere e uomo di Gazprom ma poi – quando Lukashenko lo ha fatto arrestare – non avrebbe avuto il coraggio di rompere con il presidente bielorusso. Il leader russo avrebbe scommesso sul fatto che nel periodo post-elettorale – dopo qualche protesta – il camaleonte bielorusso sarebbe riuscito a restare in sella: un alleato riottoso, è vero, ma pur sempre un alleato. La vicenda dei 33 contractors arrestati a Minsk in piena campagna elettorale è suonata a Mosca come una provocazione ma pur sempre all’interno della condotta di un personaggio costretto a pencolare eternamente tra est e ovest.

Non a caso è venuto alla luce in queste ore quanto già si presumeva: i 33 foreign fighers erano in Bielorussia in transito verso il Venezuela e non per montare una provocazione elettorale. Secondo ambienti della diplomazia bielorussa un’ipotesi di intervento sullo «stile Praga è da escludersi». Ci sarebbe invece ancora l’idea a Mosca di dare a Lukashenko una fiducia a tempo, a patto però che il conducator eviti di usare ancora la forza. L’atteggiamento benevolo della polizia nei confronti di chi a Mosca protesta davanti all’ambasciata bielorussa andrebbe in questa direzione.

Secondo un altro deputato russo le probabilità che Lukashenko resista «sono del 20% e molto dipende da quanto sarà esteso lo sciopero generale». L’interesse di Mosca è ora di non forzare il corso degli avvenimenti e trattare con Emmanuel Macron il partner europeo «più comprensivo» nel gruppo di testa dei paesi della Ue.

L’operazione di recupero russo nel caso di un crollo sempre più probabile del regime si presenta complessa ma non impossibile anche se pesa il lungo rapporto di partnership tra Lukashenko e Putin. Dalla sua la Russia ha gli strettissimi rapporti economici e commerciali con il «fratello bielorusso». L’uscita dell’Unione eurasiatica sarebbe un disastro per l’economia bielorussa e questo lo sa perfino chi nel piccolo paese slavo è filo-Ue. Non a caso la «pasionaria» dell’opposizione Svetlana Tikhonovskaya ha evitato di parlare sempre non solo del possibile schieramento strategico nella Bielorussia post-Lukashenko ma anche delle prospettive economiche del paese, concentrandosi solo sui temi della democrazia e della corruzione.

Secondo quanto riporta uno studio del governo russo «Il principali partner commerciali della Bielorussia resta la Federazione con il 38,5%». Si tratta di un’eredità dell’era sovietica quando la Bielorussia era l’officina dell’Urss, una complementarità tra le due economie continua ad essere realtà.

La Bielorussia è un paese di transito per le pipeline russe e ciò garantisce a Minsk forniture di energia a prezzi inferiori a quelli di mercato. In cambio la Bielorussia esporta nella Federazione latticini, mezzi di trasporto pesante e calzature.

Tutti prodotti praticamente impossibili da esportare sul mercato occidentale per standard e qualità. Malgrado l’europarlamento ieri abbia dichiarato Lukashenko «persona non grata» e abbia chiesto il trasferimento dei poteri a Tikhanovskaya, la Ue non sembra così desiderosa di mettere le mani su un paese povero, con un’industria «decotta» e con una opinione pubblica non pregiudizialmente anti-russa. Anzi. Secondo un recente sondaggio dell’istituto Vardomatsky, oltre il 70% dei bielorussi sostiene le attuali relazioni tra i due paesi slavi senza confini e dogane, il 7% è favorevole all’unificazione e solo il 5% è per rompere i legami.