Nei gelidi boschi che ricoprono le frontiere tra Polonia e Bielorussia al dramma dei migranti che da settimane sono accampati tra la neve si aggiunge quello dei minori. Tra loro alcuni viaggiano addirittura senza famiglia, come nel caso di Ali, un quindicenne dell’Iraq. «Sono stati i genitori a farlo partire via dopo che una delle tante milizie armate locali ha ucciso uno dei suoi fratelli. Ce lo ha spiegato al telefono il padre, che fa da tramite con Ali che non parla ancora bene inglese».

A riferire questa storia è Ewa, una volontaria polacca che da mesi raccoglie le richieste di aiuto che giungono dai profughi bloccati in questo angolo di Europa. Fa parte di una delle associazioni dell’alleanza «Grupa Granica» che da agosto si è costituita per rispondere alla crisi umanitaria innescata da un inedito aumento negli arrivi di profughi mediorientali e africani dalla Bielorussia e che il governo di Varsavia sta gestendo come una minaccia alla sicurezza interna. Raggiungiamo Ewa telefonicamente e ci risponde col tono di chi va di fretta: «Devo dedicarmi agli Sos che ricevo dal confine», dice. Tra le persone da assistere, però, Ali è in cima alla sua lista: «Sono sempre in pensiero – continua- me ne occupo da settimane. Qualche notte fa non sono riuscita a chiudere occhio perché non ci rispondeva al cellulare».

Ewa riferisce che il quindicenne ha vagato da solo per giorni prima tra le foreste sul lato bielorusso del confine, poi una settimana fa è entrato in Polonia dove ha continuato il viaggio con un migrante più grande. «Stando al suo racconto- prosegue Ewa- sono stati i militari bielorussi a costringerlo ad attraversare il confine ed entrare in Polonia. Qualche giorno fa però è stato trovato dagli agenti di frontiera che invece di accoglierlo, lo hanno respinto di nuovo verso la Bielorussia. Ora è laggiù, ha la febbre». A Ewa, il papà di Ali ha detto che «gli agenti polacchi avrebbero riso tanto quando il figlio, piangendo, li ha supplicati di non respingerlo».

Da quando è iniziata l’emergenza umanitaria alle frontiere bielorusse si sono creati vari gruppi sui social network per mettere in contatto i profughi con i volontari. Scorrendo i vari post, racconti come quelli di Ewa sono frequenti ma non verificabili fino in fondo perché da settembre solo i militari e i media di Stato hanno accesso alla zona di confine e chiunque voglia avvicinarsi – che si tratti di politici, giornalisti o operatori umanitari – rischia una multa fino a 500 zloty (in un paese dove il salario medio si aggira intorno ai 2.000-3.000 zloty) e l’arresto.

Tra le varie storie che viaggiano in rete si trova quella di Eileen, una bambina irachena di quattro anni che sarebbe rimasta da sola sul lato polacco del confine nella notte tra il 6 e il 7 dicembre. A Grupa Granica i genitori hanno denunciato di aver perso la figlioletta quando gli agenti polacchi sono intervenuti per respingere il loro gruppo. Le ricerche dei volontari sono state infruttuose mentre il 10 dicembre la polizia di Byalistok ha fatto sapere di aver intercettato anche dei bambini senza chiarire se Eileen fosse tra loro. E in quella foresta – evidenziano i media polacchi – ci sono i lupi. «Questa crisi umanitaria è di dimensioni enormi» riferisce Anna, volontaria polacca indipendente, «non abbiamo stime esatte ma sappiamo che ci sono centinaia di persone nascoste nelle foreste, tra cui anche alcuni adolescenti senza famiglia».

Se il diritto internazionale vieta i respingimenti forzati di profughi che fuggono da guerre o situazioni di pericolo, esistono ancora più responsabilità in capo agli Stati quando si tratta di un Msna, un minore straniero non accompagnato. Ma la presenza dei minorenni, che siano soli o con le famiglie, piccoli o adolescenti, non ridurrebbe il rischio dei respingimenti: «La polizia polacca di frontiera qualche settimana fa ha garantito l’accoglienza alle mamme con bambini – prosegue Anna – ma non abbiamo modo di verificarlo. Da un lato speriamo che questo sia il motivo per cui stiamo ricevendo meno chiamate da parte di famiglie con bambini piccoli, potrebbero aver deciso di non avventurarsi nei boschi con queste temperature. Ma temiamo anche un’altra spiegazione».

Alcuni volontari, dice Anna, hanno riferito di essere stati pedinati da agenti a bordo di auto civili. «Se è già capitato che i volontari a loro insaputa abbiano guidato gli agenti dai migranti, e questi poi sono stati arrestati o respinti, è normale che ora gli altri abbiano paura a contattarci». D’altronde coi bambini è più complicato scappare. Ma anche i volontari vivono nel timore di essere «tenuti d’occhio dai militari»: è il motivo per cui sia Ewa che Anna non rivelano né il loro cognome né l’area in cui operano.

Agenzia Dire