Negli Usa continua la pioggia di critiche su Joe Biden, provenienti da alcuni rappresentanti democratici, causate della decisione di non imporre sanzioni dirette al principe ereditario dell’Arabia saudita Mohammed bin Salman (MbS), nonostante l’intelligence statunitense abbia dichiarato che il suo ruolo nell’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi è stato centrale. L’amministrazione Biden si è limitata a imporre restrizioni sui visti per 76 cittadini sauditi ma nell’elenco non è incluso il principe.

L’addetta stampa della Casa bianca Jen Psaki ha specificato che Biden ha intenzione di «ricalibrare» il rapporto con Riyadh, anche ponendo fine al sostegno alla guerra saudita in Yemen. Psaki ha poi fatto un’affermazione a dir poco azzardata, dichiarando che la decisione di Biden di evitare sanzioni dirette contro bin Salman in realtà segue un precedente stabilito dalle altre presidenze, per cui «amministrazioni democratiche e repubblicane, non hanno mai sanzionato leader di governi stranieri».

In realtà tutti e tre i predecessori hanno imposto sanzioni a leader stranieri: il leader iraniano Ali Khamenei e il presidente venezuelano Nicolas Maduro sono stati entrambi sanzionati da Trump; il dittatore nordcoreano Kim Jong Un, il presidente siriano Bashar al-Assad e l’allora dittatore libico Moammar Gheddafi da Barack Obama; l’allora leader del Myanmar Than Shwe, il presidente bielorusso Alexander Lukashenko e il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe da George W. Bush.

Non imponendo sanzioni al principe ereditario saudita il presidente sta praticamente invitando i membri del Congresso a spingerlo ad andare oltre. E difatti alcuni democratici stanno cominciando a montare campagne di pressione per forzare la mano di Biden, specialmente dopo che MbS e altri alti funzionari sauditi sono stati accusati da Reporter senza frontiere (Rsf) di aver commesso crimini contro l’umanità, in una denuncia penale presentata in Germania.

La denuncia di 500 pagine, presentata al pubblico ministero tedesco presso la corte federale di giustizia di Karlsruhe, è incentrata sulla persecuzione «diffusa e sistematica» dei giornalisti in Arabia saudita, compresa la detenzione arbitraria di 34 giornalisti e l’assassinio di Khashoggi. La notizia della denuncia di Rsf è stata immediatamente riportata dal Washington Post, il giornale per cui lavorava Khashoggi, e commentata dal democratico Tim Kein, voce principale di questa corrente di dissenso interna al partito.

Non ha calmato gli animi l’annuncio di nuove sanzioni indirizzate alla Russia. Gli Stati uniti, seguendo l’esempio europeo, hanno imposto sanzioni individuali, restrizioni ai visti e al commercio verso sette funzionari russi, in risposta all’avvelenamento e all’arresto del leader dell’opposizione Alexey Navalny.

Il Consiglio dell’Unione europea ha infatti introdotto misure restrittive per quattro cittadini russi: Alexander Bastrykin, capo del Comitato investigativo russo; Igor Krasnov, procuratore generale; Viktor Zolotov, capo della Guardia nazionale; e Alexander Kalashnikov, direttore del sistema penitenziario federale.

In una nota divulgata dalla Casa bianca l’amministrazione Biden ha spiegato che le sanzioni Usa «sono state varate in accordo con i nostri partner dell’Unione europea e sono un segnale chiaro» inviato a Mosca. Sono le prime sanzioni decise da Biden contro il Cremlino e si aggiungeranno a quelle verso 14 entità legate alla produzione di armi chimiche e biologiche in Russia.

«Non stiamo cercando di ripristinare le nostre relazioni con la Russia, né stiamo cercando un’escalation», ha detto ai giornalisti un funzionario dell’amministrazione Usa.