Il terzo dibattito dem ha visto per la prima volta sullo stesso palco i due sinistrorsi Elizabeth Warren (in ascesa) e Bernie Sanders (in stallo), confrontarsi col moderato Joe Biden (in testa ma in discesa nei consensi), sui temi che stanno caratterizzando la tornata politica: sanità, immigrazione, società civile.

Biden si è difeso meglio delle altre volte specialmente sul fronte della sanità pubblica: questa è stata la sua performance migliore in un dibattito che è sempre civile, dove continua ad aleggiare il fantasma di Obama, amatissimo dalla base democratica ma che rischia di diventare un padre freudiano che i candidati devono uccidere per diventare adulti.

E il meno indicato a compiere questo passaggio è proprio l’ex vice presidente che finisce con il ripetere una storia politica già scritta e consegnata, mentre gli Usa hanno bisogno di una svolta. La migliore, giocando in ritirata, è stata Elizabeth Warren che non ha aggredito Biden, ma ha parlato di sé, della sua giovinezza in Oklahoma, degli anni come insegnante in una scuola pubblica, del servizio militare del fratello.

Sanders, invece, ha realizzato un buon punto affrontando Biden sul voto a favore della guerra in Iraq: «Il tuo grande errore – ha detto –, la vera differenza tra noi è che io non ho mai creduto a Bush e Cheney», rimarcando la linea tra moderati e non.

Tra i giovani, a parte la stella nascente Julian Castro, l’unico ad aver attaccato Biden dandogli del «poltronaro», hanno vinto la veemenza di Beto O’Rourke e la sensibilità del moderato Buttigieg, che come prova di personale forza d’animo ha citato il suo coming, out: «Tornai dal periodo nell’esercito e capii che bisogna vivere la propria vita. Così, semplicemente, mi dichiarai gay».