Dan Gerstein è uno scrittore, analista politico e stratega della comunicazione, ha iniziato come autore di discorsi e consigliere per il senatore del Connecticut Joe Lieberman, per poi continuare come suo consulente senior e stratega della comunicazione nelle sue campagne vicepresidenziali e presidenziali.

È stato editorialista di Forbes, Wall Street Journal, Politico, appare regolarmente come analista politico sulle tv Usa da Cnn a Msnbc a Fox News, quando davvero cercano un’analisi. Collabora con la New York University e ha fondato Gotham Ghostwriters, principale agenzia americana di ghostwriting.

Come vede il ticket Biden/Harris?

Quando sei uno sfidante e hai il tipo di vantaggio che ha Biden su Trump, la prima regola in politica è: non sbagliare. Da sfidante il tuo compito principale è convincere le persone prima a licenziare chi è in carica e poi ad assumerti. Biden non deve convincere per essere assunto, la sua sfida principale è convincere a licenziare Trump. Al di fuori dello zoccolo duro di elettori di Trump, è chiaro che ha gestito male la risposta alla pandemia, non è riuscito a contenere il virus e ha messo a rischio l’economia; la strategia di Biden fino a questo punto è stata quella di non fare nulla per distrarre l’attenzione dalla cattiva gestione di Trump e finora è stato molto efficace. La sua scelta per la vicepresidenza è da inquadrare in questo contesto. Oltre a ciò c’è la disciplina di Harris e la sua capacità comunicativa. La mia opinione è che siano partiti molto bene a livello di comunicazione, hanno veicolato lo stesso messaggio, di normalizzazione, unità, valori, ma in modi leggermente diversi a causa delle loro diverse prospettive e della loro diversa esperienza di vita.

Credo vedremo la vera natura di Harris al dibattito con Pence.

Ci sono tre momenti chiave per il candidato vicepresidente: quando viene annunciato; alla convention; e al dibattito. Nel discorso della convention Harris continuerà a definirsi mostrando l’intera gamma della sua personalità e, in una certa misura, penso di vederla presentarsi in un’immagine equilibrata. Mostrerà il duro procuratore, ma anche la parte calda, carismatica e rassicurante della sua personalità, come quando parla di lei, di come ama la sua famiglia. È ingiusto ed è un doppio standard per le donne, ma c’è una specie di aspettativa che le donne leader negli Stati Uniti non possano essere troppo dure o fredde, ma neanche troppo morbide. Trovare quella via di mezzo è la vera sfida per le donne candidate.

Questo ticket accontenta la sinistra del partito?

Accontenta gli afroamericani. Fuori dagli Usa si pensa che nero sia uguale a liberal e non è così. La comunità nera è molto più moderata rispetto all’ala Sanders. I giovani afroamericani sono più progressisti dei loro genitori o nonni, ma il blocco degli elettori nella comunità afroamericana è composto da donne anziane e tende a essere più moderato. C’è stato comunque un avvicinamento con Sanders, penso che Biden nella scelta del vice sia stato anche aiutato perché si è consultato regolarmente con Elizabeth Warren. Le sue posizioni in particolare sull’economia si sono evolute. Non voglio dire che si stia muovendo a sinistra, direi che sta diventando più populista e sta rispondendo alla frustrazione della classe lavoratrice. Le cose che questo ticket dirà dovranno convincere gli elettori progressisti che sono ascoltati, capiti. Gli elettori Usa sono meno interessati all’ideologia, si preoccupano dei valori e ora del cambiamento. Non c’è modo migliore per abbracciare il cambiamento che scegliere la prima donna non bianca in un ticket presidenziale. Harris non è giovane come AOC ma è di una generazione completamente diversa da Biden ed è una mezza generazione dopo Barack Obama. Significa che quando verranno prese le decisioni, Kamala Harris, donna, giovane, nera sarà nella stanza. E nessuno meglio di Biden conosce l’importanza della vicepresidenza.