Il presidente eletto Joe Biden ha scelto come suo Segretario alla Difesa un generale dell’esercito in pensione dal 2016, Lloyd Austin, ex comandante del comando centrale degli Stati uniti. Austin diventa così il primo afroamericano a guidare il Pentagono, la più grande agenzia governativa della nazione.

Scegliendo lui, Biden ha scelto un ex ufficiale a quattro stelle che è stato il primo generale nero a comandare una divisione dell’esercito in combattimento e il primo a supervisionare un intero teatro di operazioni.

Biden e Austin si sono conosciuti durante il ritiro dall’Iraq da parte dell’amministrazione Obama, quando l’ex vice presidente guidava la politica irachena e Austin era l’ultimo comandante generale delle forze statunitensi in Iraq.  In quella posizione Austin ha svolto un ruolo chiave come responsabile del ritiro delle forze di combattimento statunitensi.

Una delle ragioni che ha portato Biden a scegliere Austin è stata proprio la sua profonda esperienza logistica, che si rivelerà fondamentale nel prossimo futuro poiché saranno i militari ad aiutare a distribuire i vaccini contro il coronavirus.

A differenza di altri candidati di Biden che rischiano di affrontare audizioni di conferma scettiche in un Senato profondamente diviso, il generale in pensione Austin potrebbe invece trovarsi in difficoltà non a causa di preoccupazioni ideologiche o politiche, ma per essere in pensione da soli quattro anni.

Il controllo civile delle forze armate è una caratteristica unica del sistema di governo americano, e, per sottolineare questo principio, i segretari alla difesa sono legalmente tenuti a essere in pensione dal servizio attivo da almeno sette anni, stando a una legge del 1947, il National Security Act. Questa sarebbe solo la terza volta che un presidente richiede diversamente, dopo la richiesta di eccezionalità fatta da Harry Truman per George Marshall  nel 1950 e quella di Trump per James Mattis.

Mentre si continua a formare l’amministrazione Biden, si chiude la finestra di Trump per contestare i risultati delle elezioni.  Ieri è stato il “safe harbor date”, la data entro cui ogni Stato finalizza gli elettori del Collegio elettorale, con un un risultato definitivo che non può essere contestato, e sei giorni prima che il Collegio elettorale voti ufficialmente, il 14 dicembre. Il team legale di Trump ha affermato pubblicamente che la scadenza del Safe Harbor Date per loro non ha senso e che, semplicemente, la ignoreranno.

Fissata da uno statuto vecchio di 140 anni, la data non è sancita dalla Costituzione, dicono i legali di Trump, ma i documenti della campagna raccontano un’altra storia, poiché gli avvocati di Trump hanno sollecitato i tribunali per portare avanti un’azione urgente prima della scadenza della mezzanotte di martedì e hanno avvertito delle conseguenze irreparabili se non dovessero farlo.

L’ultima volta che un’elezione presidenziale è stata risolta dalla Corte Suprema, la scadenza del Safe Harbor Date si era rivelata fondamentale, nel dicembre 2000, per l’elezione di George W. Bush.