Il presidente Biden alza di nuovo i toni sulla crisi ucraina: «Invierò truppe in Europa dell’est nei paesi della Nato nel breve termine. Non molte», ha dichiarato rientrando da una visita a Pittsburgh, in Pennsylvania. Così il Pentagono ha messo 8.500 militari in stato di allerta per un possibile dispiegamento nei Paesi Baltici di fronte al pericolo di una «invasione russa». Ora però verrebbe quasi da pensare che la mancata invasione russa stia generando più problemi alla Nato di quanto avrebbero potuto fare i carri armati russi una volta sul territorio dell’Ucraina.

I rapporti degli Stati Uniti su una guerra imminente si sono rivelati sin qui privi del minimo fondamento. Al punto che negli ultimi giorni a Kiev il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, si è sentito in dovere di ribattere con decisione al capo della Casa Bianca, Joe Biden, che gli aveva ripetuto di «prepararsi all’urto» in vista di una operazione militare entro la metà di febbraio. «Non è amichevole seminare il panico nella nostra società», ha ribadito ieri il capogruppo del partito di Zelensky alla Rada, David Arakhamia, secondo il quale «ci sono già stati troppo giorni X, ormai i nostri cittadini hanno capito che si tratta di allarmi falsi». Zelensky è stato netto anche venerdì con i giornalisti stranieri arrivati a Kiev sull’onda dei segnali diffusi dagli Stati Uniti. «L’occidente non deve creare il panico», ha detto in quella occasione. Mai è parso così distante dalla linea politica di Washington. Neanche quando alla Casa Bianca sedeva Donald Trump. Tanto che ieri, sui social network, i profili di ambasciate e ministeri russi hanno dato grande rilievo alle parole di Zelensky, come se fosse un alleato. Quali ragionamenti spingono le decisioni di Zelensky? Il primo è materiale: le truppe russe schierate oltre il confine non sono pronte a un’invasione. Possono compiere attacchi in un raggio di poche centinaia di chilometri. Ma l’idea di vederle oltre i confini del Donbass, e addirittura a Kiev, è secondo gli stessi esperti militari ucraini da scartare per tutto il 2022. «Vivo qui e penso di conoscere meglio di tutti i dettagli», ha detto Zelensky venerdì. Incredibilmente, nessuno in Europa sembra interessato a sentire la sua opinione.

Il secondo ragionamento è politico. I continui richiami alla guerra possono convincere una parte della società a pretendere dal governo una postura più aggressiva nella crisi. Zelensky ha indicato molte volte nella «stabilità interna» il pericolo più grande per l’Ucraina. Non bisogna dimenticare che una parte delle sue forze armate è composta da battaglioni di ispirazione neonazista inquadrati nella Guardia nazionale. Che, prima di combattere nel Donbass, hanno avuto un ruolo centrale nei violenti scontri che otto anni fa hanno portato alla fuga da Kiev dell’ex presidente Yanukovich. A quel periodo risalgono due tragedie rimaste senza colpevoli: la strage del 20 febbraio 2014 a Maidan Nezalezhnosti e quella al Palazzo dei Sindacati di Odessa del 2 maggio seguente. Su qui fatti sono sempre più evidenti le responsabilità delle organizzazioni di estrema destra. È normale, quindi, che Zelensky tema di essere travolto da un movimento simile. I segnali negli ultimi mesi sono stati numerosi, dall’attentato contro il suo consigliere Serhii Shefir alle proteste contro gli accordi di pace nel Donbass – e il suo predecessore Poroshenko è imputato di «tradimento».

Ma la mancata invasione russa e gli appelli falliti di Biden stanno aprendo significative divisioni nei ranghi della Nato. La Germania ha intenzione di difendere i suoi interessi con la Russia, come dimostra il vertice che gli imprenditori tedeschi terranno con Putin, la settimana prossima a Mosca. La Francia ha deciso di intraprendere una iniziativa diplomatica importante, ottenendo a Parigi una «de-escalation» senza l’intervento Usa. Il presidente turco, Erdogan, ha fatto sapere che incontrerà prima Zelensky e poi Putin. Il governo Lettone ha accusato quello tedesco di avere “rapporti immorali con Mosca”. In Croazia è in corso uno scontro politico fra il governo e il presidente, Zoran Milanovic che ha annunciato il ritiro delle truppe in caso di conflitto. Non solo non esiste una linea comune, ma la linea americana sembra oggi sostenuta soltanto dai paesi Baltici, nei quali Biden è pronto a inviare a breve oltre ottomila uomini. In una fase politica particolarmente delicata, vista l’elezione del presidente della Repubblica, soltanto l’Italia, con Draghi, avrebbe garantito alla Nato «la più completa collaborazione» sul dossier sanzioni e su quello della presenza militare lungo il fianco orientale dell’Europa, come ha detto ieri in una intervista il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg che dichiara: «Se la Russia userà ancora una volta la forza contro l’Ucraina, dovrà pagare un prezzo alto». Resta da capire che cosa farebbe la Nato se l’attacco non si verificasse. È un problema esistenziale che l’Alleanza dovrebbe cominciare a porsi