Avversari politici agguerriti, contestazioni nelle strade e il processo per corruzione che presto lo vedrà sul banco degli imputati, non scalfiscono il consenso di cui gode ancora Benyamin Netanyahu. Se si tenessero oggi le elezioni legislative previste il 23 marzo – le quarte in due anni – il Likud del premier di destra risulterebbe il primo partito con 30 seggi (sui 120 della Knesset) rivelava domenica un sondaggio della tv Canale 12. «Yesh Atid» (C’è un futuro) del centrista Yair Lapid sarebbe secondo ma con appena 17 seggi. Lontani anche i due partiti di destra rivali del Likud: a «Tikva Hadasha» (Nuova Speranza) di Gideon Saar andrebbero 14 seggi e 13 a «Yamina» (Destra) del nazionalista religioso Naftali Bennett. Al partito «Israel Beitenu» (Israele è la nostra casa) di Avigdor Liberman, ago della bilancia delle passate tre elezioni, non andranno più di sette seggi.

Per il centrosinistra ci vuole la respirazione assistita. Il Partito laburista secondo il sondaggio riuscirà a stento a superare la soglia di sbarramento del 3,25% e otterrà cinque seggi. Peggio il Meretz (Vigore), la sinistra sionista, con quattro seggi. Rischia di sparire Kahol Lavan (Blu Bianco). Per tre elezioni questo partito è stato impegnato in un testa a testa con il Likud. Poi il suo leader, l’ex capo di stato maggiore Benny Gantz, l’ha portato alla rovina scegliendo, contro il volere dei suoi elettori, di formare un’alleanza proprio con Netanyahu che, grazie alla sua abilità politica, in breve tempo è riuscito ad annientarlo.

Ad aggravare questo quadro è la disintegrazione della «Qaimah al Mushtarakah», la Lista araba, il fronte unito che dal 2015 in poi ha messo insieme i quattro partiti dei palestinesi con cittadinanza israeliana (arabo israeliani). Se non ci sarà una nuova intesa prima del 4 febbraio, quando dovranno essere presentate le liste, andranno al voto due forse tre formazioni che, secondo il sondaggio, perderanno almeno cinque dei 15 seggi arabi oggi alla Knesset. Meno di un anno fa la Lista unita era emersa come l’unica vera opposizione alla destra di Netanyahu tanto da attirare i voti di migliaia di israeliani ebrei. Poi le divisioni ideologiche hanno avuto il sopravvento sull’unità contro le politiche di Netanyahu, in particolare tra i comunisti di Hadash e gli islamisti. Questi ultimi, guidati dal medico Mansour Abbas, hanno addirittura fatto aperture al premier di destra e al Likud formando una corrente definita da molti come una sorta di «normalizzazione interna» analoga a quella che Netanyahu ha firmato di recente con quattro paesi arabi non più interessati ai diritti dei palestinesi dei Territori sotto occupazione israeliana. Per il leader della destra, che ha sempre trattato i cittadini arabi come dei nemici interni, è un’occasione unica. Ora si presenta come il padre di tutti i cittadini, ebrei e non ebrei, e facendo promesse a raffica è riuscito ad allargare la frattura nella «Qaimah al-Mushtarakah» e, pare, a garantire migliaia di voti arabi al Likud.

Il quadro per Netanyahu non è solo positivo. Sondaggi alla mano il premier non avrà una maggioranza dopo il 23 marzo. I suoi avversari appaiono in grado di impedirgli di formare un governo. E non è detto che i partiti degli ebrei ultraortodossi ebrei siano pronti, come in passato, a sostenerlo. Pesano le misure restrittive che il premier ha dovuto adottare per contenere la pandemia. I religiosi in gran parte le vedono contrarie al loro stile di vita e le violano appena possono organizzando preghiere, matrimoni e funerali di massa. Domenica migliaia di ultraortodossi hanno partecipato alle esequie di due rabbini, incuranti delle sanzioni previste dal governo per chi non rispetta il distanziamento sociale. Inoltre la campagna vaccinale ad alta velocità in corso in Israele, su cui di fatto si fonda quella elettorale che sta conducendo Netanyahu, non ha prodotto ancora i risultati positivi che il premier si attendeva già a fine gennaio. Il contagio scende lentamente mentre aumentano i decessi. Gli esperti dubitano che le vaccinazioni permetteranno la riapertura dell’economia e il ritorno alla vita quasi normale che il premier ha promesso per fine marzo quando milioni di israeliani dovrebbero andare alle urne.