Benyamin Netanyahu si sente più forte. A meno di una settimana dal voto i sondaggi sorridono al Likud. Rimasto per mesi indietro alla lista avversaria, Blu e Bianco, il partito del premier per la prima volta nei giorni scorsi ha messo la testa avanti. E la coalizione di destra porterebbe a casa 57 seggi contro i 55 del centrosinistra. Certo, entrambi gli schieramenti non raggiungono i 61 seggi sui 120 richiesti per formare una maggioranza, ma Netanyahu si accontenta perché il 44% degli israeliani lo considera più idoneo di Gantz (35%) a guidare il paese. A metà marzo il premier andrà sotto processo per corruzione ma gli israeliani di destra non ritengono importante la sua integrità di uomo politico e cittadino. Contano di più l’espansione delle colonie e il controllo di tutta Gerusalemme e della Cisgiordania occupata nel 1967, di cui il primo ministro si è fatto garante. A maggior ragione ora che Donald Trump ha presentato un “piano di pace” oltremodo favorevole a Israele. Arrivare primo il 2 marzo per Netanyahu significa presentarsi in tribunale in qualità di capo del partito vincitore e forte di una investitura popolare. Poco importa se lo stallo politico resterà irrisolto e Israele prenderà la strada di una clamorosa quarta consultazione elettorale.

 

Per salutare i sondaggi favorevoli, Netanyahu ha annunciato la costruzione di altre 3500 case per coloni in quella che per oltre due decenni è stata un’area proibita per l’espansione coloniale: la zona E1 – tra Gerusalemme e la colonia orientale di Maale Adumim – nella quale, anche su pressione delle passate Amministrazioni Usa, erano stati congelati i progetti di costruzione per non compromettere la soluzione dei Due Stati, Israele e Palestina. Ora alla Casa Bianca c’è Trump, pronto a consegnare a Israele l’intera Gerusalemme, i Territori palestinesi e il Golan siriano. E il premier israeliano non ha più ostacoli. Edificare nella zona E1 significa tagliare in due la Cisgiordania e impedire l’eventuale nascita di uno Stato palestinese con un territorio omogeneo. «Questo annuncio ha una forte importanza e penso che ognuno lo possa capire», ha detto Netanyahu tra le proteste dell’Autorità nazionale palestinese.

 

Non vuole vincere solo in Israele Benyamin Netanyahu. Le primarie del Partito Democratico per le presidenziali Usa di fine anno lo tengono in tensione. In ballo c’è la nomina del candidato democratico che sfiderà Trump e i primi successi ottenuti da Bernie Sanders – senatore ebreo del Vermont che si proclama un socialista – cominciano a impensierirlo. Sanders durante il dibattito in diretta tv in South Carolina ha descritto il premier israeliano come un «razzista reazionario». Quindi ha assicurato che se sarà eletto presidente prenderà in grande considerazione il ritorno a Tel Aviv dell’ambasciata Usa fatta trasferire a Gerusalemme da Donald Trump. Sanders infine ha ripetuto che gli Usa «non possono ignorare le sofferenze del popolo palestinese» e devono avere «una politica che tenga conto dei palestinesi».

 

Contro Sanders, che non parteciperà all’annuale conferenza dell’Aipac, la principale organizzazione ebraica americana che sostiene Israele (Aipac) – i suoi leader, ha spiegato, «esprimono intolleranza» nei confronti dei palestinesi –, si sta compattando una armata composta di Democratici che lo accusano di essere «troppo radicale» per attirare i voti necessari per battere Trump, di colossi dei media, di noti attivisti filo-Israele e, naturalmente, dal governo israeliano. Il ministro degli esteri Israel Katz, ad esempio, ieri ha definito «scioccanti» le ultime affermazioni del senatore ebreo americano perché «contro lo Stato di Israele su temi che sono la base del credo ebraico, della storia ebraica e della sicurezza di Israele».

 

La campagna contro Sanders, più che mai lanciato nella corsa alla nomination, è destinata ad intensificarsi in vista del Super Tuesday, il 3 marzo, quando andranno alle primarie il maggior numero di Stati e si capirà chi ha le maggiori possibilità di sfidare Trump il 3 novembre. Netanyahu spera che ne esca vincitore il miliardario ed ex sindaco di New York Michael Bloomberg, anch’egli un ebreo, molto vicino a Israele.