Prosegue senza intoppi la normalizzazione tra Israele, Emirati arabi e Bahrain. Le due monarchie del Golfo ignorano le proteste dei palestinesi. Ieri il consiglio dei ministri di Abu Dhabi ha approvato l’Accordo di Abramo e l’avvio di piene relazioni diplomatiche con Israele, in vista della prima visita ufficiale oggi nello Stato ebraico di una delegazione ufficiale emiratina. Domenica a Manama invece si è svolta, alla presenza di una delegazione israelo-statunitense, la cerimonia che ha sancito l’inizio di rapporti ufficiali tra Israele e Bahrain. La scorsa settimana era stata la Knesset a ratificare l’Accordo di Abramo.  Israele e gli Emirati hanno già firmato diversi accordi commerciali. Oggi metteranno nero su bianco un’intesa che darà il via a 28 voli commerciali settimanali tra Tel Aviv, Dubai e Abu Dhabi.

 

Il premier Netanyahu è entusiasta dei progressi dell’Accordo di Abramo – al quale presto potrebbero aderire altri paesi arabi o a maggioranza islamica – che proseguono senza che siano tenute in alcun conto le aspirazioni palestinesi e l’occupazione israeliana di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. Nell’accogliere ieri al porto di Haifa una nave con un carico commerciale degli Emirati, Netanyahu ha commentato: «Un tempo eravamo in un vicolo cieco. Da noi si poteva arrivare solo da occidente, eravamo come legati. Ora si può volare in tutte le direzioni, si possono sorvolare l’Arabia Saudita e la Giordania». A Tel Aviv poche ore prima, era atterrato per la prima volta un aereo della compagnia Etihad proveniente da Abu Dhabi. «Israele sta diventando uno snodo aereo, terrestre, marittimo, tecnologico, commerciale ed umano. Questa è una giornata storica», ha aggiunto il premier con soddisfazione. Ieri la tv Canale 12 ha parlato di un tweet imminente di Donald Trump relativo alla rimozione del Sudan dalla lista degli Stati che secondo il Dipartimento di stato Usa sosterrebbero il terrorismo. La contropartita sarà con ogni probabilità la normalizzazione delle relazioni del paese africano con Israele.

 

I successi diplomatici però non stanno dando a Netanyahu il sostegno popolare che si aspettava in casa. Gli israeliani appaiono concentrati su altre priorità. D’altronde anche i più nazionalisti sono consapevoli che gli «accordi di pace» firmati a Washington hanno un peso nettamente inferiore rispetto a quelli di 40 anni fa con l’Egitto e di 26 anni fa con la Giordania. Emirati e Bahrain non hanno mai combattuto alcuna guerra con Israele e da molti anni mantenevano in segreto relazioni strette e strategiche con Tel Aviv. I benefici economici delle intese con le due monarchie, se mai ci saranno, si vedranno solo nei prossimi anni, mentre in questi mesi centinaia di migliaia di israeliani fanno i conti con la disoccupazione causata dalla pandemia e tante imprese chiudono. Nel weekend, appena allentato il secondo lockdown totale cominciato il 18 settembre, sono riprese a Gerusalemme, Tel Aviv e altre città le manifestazioni di migliaia di israeliani che chiedono le dimissioni del premier che giudicano incapace di dare risposte efficaci alla crisi economica, che mostra pericolose tendenze autoritarie e che dovrebbe dimettersi subito perché sotto processo per corruzione.

 

Da settimane i sondaggi danno Netanyahu in calo, assieme al suo partito, il Likud, e in netta crescita il suo rivale di ultradestra religiosa Naftali Bennett. «Nei sondaggi vado sempre male poi alle elezioni vinco io», ha commentato il premier minimizzando il de profundis che recitano da giorni gli analisti. In realtà il governo vacilla pericolosamente. La Knesset ieri si è riunita dopo che oltre 40 dei suoi 120 parlamentari avevano ottenuto la convocazione di una seduta plenaria sulla «vergognosa incapacità del primo ministro di gestire la crisi» della pandemia. Netanyahu è intervenuto chiedendo pieno sostegno alle sue misure ma la stessa maggioranza non è più coesa. Il ministro della difesa e leader del partito Blu Bianco, Benny Gantz, da alcuni giorni, ad ogni occasione, segnala di non essere d’accordo con non poche decisioni di Netanyahu. La battaglia che si attende sulla legge di bilancio potrebbe segnare la fine del governo ed elezioni anticipate nel 2021.

 

Ad indebolire il governo è anche il guanto di velluto che Netanyahu, per ottenere appoggi politici, usa con i religiosi ultraortodossi (haredim). Le severe restrizioni per la riapertura scaglionata delle scuole sono state totalmente ignorate in numerose località abitate dai religiosi nonostante che al loro interno vi siano ancora livelli elevati di contagio (in calo da qualche giorno nel resto del paese). Il premier è rimasto di fatto in silenzio di fronte all’apertura di tante scuole religiose ordinata dall’importante rabbino ashkenzita, il 92enne Haim Kanievski, peraltro in gravi condizioni dopo essere risultato positivo al Covid-19.