Nel romanzo Baudolino del 2000 Umberto Eco immagina che il protagonista, giunto ai confini del leggendario Regno del Prete Gianni, uno stato «ideale» collocato in un Oriente estremo e indefinito ma non immaginario, assista a guerre combattute da specie umane mostruose (nel senso latino di «prodigiose»), come gli sciapodi, uomini a gamba unica con piedone utile a proteggersi dal sole facendo ombra (skia in greco), e per questo capaci di una corsa velocissima, o i blemmi, esseri con la testa nel torace simili agli Spongibob dei cartoni animati. Queste razze abitavano regioni della terra poco conosciute e perciò suscettibili di ospitare uomini e animali fuori dagli standard europei. Per la sua narrazione Eco attingeva a quelle raccolte di esotismi che erano i cataloghi di monstra e i bestiari, descrizioni di animali (ma anche piante, herbaria, o pietre, lapidaria) familiari o conosciuti solo da racconti di viaggiatori o da fonti autorevoli come la Bibbia o la Storia naturale di Plinio e i suoi derivati. Ma sempre e comunque reali, in quanto parte della creazione voluta da Dio: come scriveva Agostino, la loro apparente stranezza dipende dall’insufficienza della nostra conoscenza scientifica e non da un difetto di attendibilità.
Negli ultimi anni su questo genere letterario, grazie anche alla maggiore facilità sia di reperire sia di stampare illustrazioni a colori del magico mondo medievale, sono stati pubblicati anche in Italia saggi e raccolte di cui «Alias» ha spesso dato conto: da Bestiari del Medioevo di Michel Pastoureau (Einaudi 2012) all’imponente antologia di testi edita per Giunti da Francesco Zambon pochi mesi fa. Sembrava perciò un’impresa impossibile riparlarne trovando una chiave nuova. Ma il Medioevo è un arsenale inesauribile e Uomini e animali nel Medioevo Storie fantastiche e feroci (il Mulino «Grandi illustrati», pp. 387, con 235 immagini a colori, euro 40,00) di Chiara Frugoni, storica di instancabile generosità (di un anno fa il suo accattivante Vivere nel Medioevo), riesce nell’impresa, pur ricorrendo in parte a materiali familiari agli appassionati di immaginario medievale e ancor più accessibili da quando portali web di straordinaria ricchezza come http://bestiary.ca/ mettono a disposizione centinaia di immagini anche rare con relative interpretazioni, spesso inedite a stampa.
La Frugoni, maestra della ricerca sul rapporto immagine/testo, sceglie sostanzialmente tre chiavi, distribuite in cinque capitoli. La prima riguarda gli animali della Bibbia, e in particolare quelli legati al loro primo apparire, nella Genesi. Dei due racconti biblici sulla creazione, sensibilmente diversi fra loro, il volume indaga con magistrale chiarezza le problematiche, ponendosi domande che rendono questo moderno bestiario diverso dagli altri: come comunicava Adamo con gli animali? E le bestie dell’Eden si esprimevano in qualche modo? La risposta, che muove dalla lingua pre-umana a quelle successive al peccato originale e alla torre di Babele, si dipana navigando in scioltezza fra fonti teologiche e capitelli romanici, documenti canonistici ed esplorazioni di opere celebri e composite come il tappeto o arazzo di Girona (XII secolo), sorta di sommario del mondo e delle sue figurazioni e scansioni principali.
La capacità di guidarci in una rappresentazione complessa si manifesta al massimo grado nel capitolo forse più nuovo del volume, quello dedicato alle mappae mundi, raffigurazioni cartografiche che ambivano a riassumere le conoscenze sulla Terra, da quelle antropologiche a quelle zoologiche, geografiche, storiche, religiose, offrendo allo spettatore quella vista dall’alto già immaginata da Cicerone nel Somnium Scipionis così caro al Medioevo. In particolare è illuminante il capitolo sulla Mappa custodita un tempo a Ebstorf in Sassonia, distrutta durante la guerra ma ricostruita sulla base di riproduzioni da una fotografia, poi perduta anch’essa, del 1888. Composta da trenta pelli di capra e larga tre metri e mezzo, raffigurava un globo equivalente al corpo di Cristo (di cui si vedono spuntare la testa a nord, i piedi a sud, le braccia a est e ovest) e abitato da centinaia di edifici e figure botaniche, zoologiche e umane distribuite in coloratissimi territori separati da fiumi e montagne e circondati dall’Oceano circolare: al margine di questa cintura vivono appunto sciapodi, blemmi e le altre varietà umane a cui, dopo le enciclopedie di Plinio e Isidoro, il Medioevo dedicò cataloghi specifici come il Liber Monstrorum (VIII-IX secolo), qui non utilizzato. Frugoni ci accompagna riquadro per riquadro lasciandoci scoprire le dyomede delle Isole Tremiti, il serpente moas e lo iaculo, lo stellio e la cerasta, ma anche i popoli «grifi» del nord Europa e i biondi albanesi, la Amazzoni e i cannibali Massageti, i mille papaveri rossi cui re Dario paragonava la moltitudine dei suoi guerrieri poi sterminati da Alessandro e i luoghi d’Africa e d’Asia dove erano stati martirizzati gli apostoli. Questa mappa, che molti studiosi hanno attribuito a Gervasio di Tilbury, estensore a inizio Duecento di un atlante testuale di mirabilia tradotto in italiano da Elisabetta Bartoli nel 2009 (Il libro delle meraviglie, Pacini Editore), è diventata più comprensibile grazie alla prima trascrizione dei testi che la circondano, dovuta nel 2007 a Hartmut Kluger e collaboratori, e la Frugoni ci aiuta a farne tesoro riportandone e traducendone i passi più interessanti.
Lo stesso percorso avviene con la più ridotta Mappa di Hereford, conservata ancora in originale, e col mirabile mosaico della cattedrale di Otranto, che era stato oggetto fin dal ’68 di un celebre studio di Frugoni e Settis. Anche qui solo grazie al ricorso ai bestiari si riesce a capire, ad esempio, perché il grande albero di fico che regge il mondo e la storia sia sostenuto da due elefanti, uno dei quali è aiutato da un elefantino sottostante. Secondo il Physiologus, matrice di tutti i bestiari, gli elefanti (qui Adamo ed Eva) dormivano appoggiandosi a un albero perché non avevano articolazioni al ginocchio e, se l’albero veniva abbattuto dai cacciatori, morivano prigionieri del proprio peso, a meno che un cucciolo della stessa specie (simbolo di Cristo che salva l’umanità) non li facesse risollevare con la proboscide.
Il segreto dell’inesauribile fascino del Medioevo è appunto questa vertiginosa pansemiosi del creato, celebrata da Eco nel suo Arte e bellezza nell’estetica medievale, per la quale ogni essere, oggetto, personaggio, episodio o fenomeno è sempre segno di altro e di altro ancora, una macchina generativa che solo la cultura simbolista di fine Ottocento ha saputo riprendere e sviluppare, sia pure su basi completamente diverse.
Il volume si chiude sul tema degli animali pericolosi, che recupera un oggetto privilegiato della ricerca di Frugoni: l’iconografia di san Francesco. In questo caso fulcro dell’indagine è il celebre Fioretto sul lupo di Gubbio, ammansito dal santo a patto che i paesani gli diano da mangiare, «imperocché io so bene che per la fame tu hai fatto ogni male», come efficacemente rappresentato nelle tavole del Sassetta ora alla National Gallery: un giustificazionismo biologico (e, per estensione, sociologico) del male che ancora oggi fa il suo effetto. Ci illumina così, anche oltre l’eccezionalità individuale del poverello di Assisi, sull’alterità di un modello culturale in cui, sia pure su un piano più ideale che pratico, l’armonia degli esseri viventi, nella riconquista di un adamitico linguaggio comune, è un segno di santità – ancora poco esplorato – che attraversa il Millennio, da Antonio abate a Mammes di Cesarea agli eremiti irlandesi o a sant’Eustachio fino appunto all’Umbria francescana.