Doveva essere a Napoli per il Comicon, il salone internazionale del fumetto in corso fino a domenica, che dedica una mostra al numero 3000 del settimanale Topolino negli spazi del Pan, un contrattempo però a tenuto negli States Diane Disney Miller, la figlia di Walt. È riuscita comunque a raccontare via telefono i suo ricordi personali e i programmi futuri del Walt Disney Family Museum di San Francisco. Un progetto ideato da lei, costato 112 milioni di dollari. «Nel museo c’è il mio libro di fiabe di quando ero bambina con la dedica ’to my little daughter Diane’ – spiega – Tutto il percorso è studiato perché il pubblico senta la presenza di mio padre, c’è la sua voce che attraversa le sale, le foto che ci faceva nel tempo libero e i filmini familiari che girava. Mostriamo molti documenti ma vogliamo anche rivelare il suo privato, come la sua infanzia e le sue esperienze sono diventate poi quel patrimonio di fantasia che ha dato vita ai personaggi». In effetti era la madre che leggeva le favole a letto alle due figlie, «papà invece ci accompagnava in auto a scuola, quello era il momento in cui ci raccontava le sue storie. L’infanzia in Missouri nella fattoria di Marceline, la sua esperienza con la Croce rossa in Europa durante la Prima guerra mondiale e poi i progetti a cui stava lavorando. Portava a casa i copioni in una borsa, si sedeva in salotto e li correggeva. In auto raccontava i soggetti in lavorazione e studiava le nostre reazioni, ci usava un po’ come test».

[do action=”citazione”]Papà portava a casa i copioni in una borsa, si sedeva in salotto e li correggeva. In auto raccontava i soggetti in lavorazione e studiava le nostre reazioni, ci usava un po’ come test[/do]

Che spesso ha dato ottimi frutti. Diane aveva a casa il libro Mary Poppins di Pamela Lyndon Travers, da cui poi verrà tratto il film. «Avevo anche i libri di Winnie the Pooh, mi facevano ridere moltissimo, così papà pensò di farne dei cartoni». I test però potevano anche essere complicati: la prima volta che vide Biancaneve e i sette nani, in anteprima in una sala privata degli Studio, si spaventò talmente quando la matrigna si trasformò in strega da essere portata via. La famiglia era immersa in un mondo fatto di amici dei genitori che frequentavano la casa, il padre Walt che costruiva piccoli giochi e persino una ferrovia in miniatura nel giardino, che finirà poi nelle animazioni, progetti che si trasformavano in film, alcuni di successo altri no, ma era alla fine una quotidianità in cui la dimensione del successo rimaneva fuori: «Vedevamo i lungometraggi in anteprima, ma non era una cosa così importante per noi. Non se ne discuteva a casa, ad esempio non so cosa mio padre pensasse di Toro Ferdinando, in cui il torero era una sua caricatura».

Il Museo ha dedicato la sua prima mostra a Biancaneve, la prossima sarà un omaggio a Tyrus Wong: «Ha lavorato poco per la Disney, era arrivato nel ’38, faceva le intercalazioni ma lo odiava. Si lasciava dietro piccoli pezzetti di carta su cui faceva degli schizzi, erano talmente belli che lo spostarono subito nel team che stava lavorando a Bambi. Fu lui a creare delle pitture di paesaggio con cervi che diedero quel tocco orientale, affascinante. Poi passò alla Warner Bros. Oggi ha 103 anni e dipinge aquiloni, sarà bellissimo averlo con noi e rendergli omaggio». I piani futuri del Museo vanno verso la creazione di un polo della creatività intorno al fumetto, un settore dove è forte l’impronta di Walt Disney ma che ha generato infiniti altri mondi. Così la prossima tappa dovrebbe essere una mostra su Chuck Jones, padre dei Looney Tunes per la Warner Bros. Uno sguardo che includerà naturalmente anche il mondo orientale, a partire da Hayao Miyazaki.

Attenzione, poi, agli sviluppi dei personaggi Disney nel vecchio continente: «Sono stupita e affascinata dal fatto che in Europa i fumetti siano così diffusi e amati. Negli Usa la produzione per il cinema e la tv ha preso subito il sopravvento, invece ad esempio in Italia c’è una passione fortissima per le strip di Topolino e, soprattutto, per il mondo dei paperi, a partire dalle sfuriate di Paperino. Un fenomeno talmente vivo da alimentare il collezionismo ma anche generazioni di bravissimi cartoonist». Una storia cominciata con l’editore Mondadori negli anni ’30 ed esplosa negli anni ’50. Luca Boschi, curatore della mostra al Pan, fa cominciare il percorso proprio dagli inizi. Negli espositori persino le tavole del Topolino autarchico, trasformato dal regime di Mussolini in un improbabile eroe italiano Topo Lino. Dai due lati dell’oceano c’era bisogno di ottimismo e buon umore per reagire al secondo conflitto bellico: «Anche l’idea dei parchi a tema era un modo per diffondere gioia. Ma era anche convinto – conclude Diane Disney – che il mondo del fumetto fosse un’espressione artistica che poteva trasformarsi in un lavoro di successo. Per questo si dedicò alla fondazione del California Institute of the Arts. È la scuola dove, a partire dagli anni ’60, si sono formate generazioni di animatori. Da lì provengono molti professionisti della Pixar, mio padre sarebbe stato entusiasta del loro lavoro oggi».