Come spesso capita durante le feste comandate, i figli tirano fuori dagli album di famiglia ricordi e foto del passato, pratica che ripercorre il racconto del loro vissuto come la favola del Da dove vengo, Chi sono stato, Che cosa ho combinato, eccetera eccetera. Quel tornare bambini a loro serve per verificare quanto sono stati amati per il solo fatto di esistere. Gli adulti non possono far altro che registrare e prendere atto di ciò che hanno seminato. Non per nulla il periodo di vacanze che va dal Natale all’Epifania è un momento di verifiche dei rapporti familiari e, proprio per questo, è anche quello in cui vengono al pettine tutti i nodi affettivi non sciolti, o sono tirati fuori dal cassetto della memoria episodi dimenticati, ma svelanti.

FRA QUESTI ve n’è uno che mi ha più colpito più di altri e riguarda il figlio ora trentenne di una mia amica. Riguardando le foto della sua infanzia, gli è capitata sotto mano quella di un saggio di fine anno del corso di inglese che seguiva con compagni delle elementari. Avevano circa nove anni e misero in scena Biancaneve e i sette nani, favola dove i maschi abbondano e le sole due donne presenti sono l’emblema di una dicotomia femminile funzionale alla visione patriarcale dei ruoli affidati alle donne: una regina malefica, invidiosa, intrigante e cattiva, una nipote molto credulona, buona, diafana e poco sveglia accudita, nella sventura, da sette omiciattoli devoti e solerti, ma con un retropensiero erotico mai manifesto.

IL SUDDETTO bambino doveva interpretare uno dei sette nani, ruolo quanto mai lontano dalla sua natura già caustica perché dotato di grande intelligenza e sguardo anti sistema. Effe, come lo chiameremo, aveva imparato a leggere da solo a cinque anni guardando il giornale con il nonno, capiva le cose prima degli altri e in classe si annoiava tantissimo ad aspettare che gli altri arrivassero al suo livello, ragion per cui disturbava, provocava, non stava mai fermo e per questo veniva messo regolarmente in punizione.
Alla recita fece il suo dovere di nano ubbidiente fino alla fine. Poi, quando arrivò il momento in cui il principe bacia Biancaneve per riportarla alla vita, lui non resse più la pantomima e fece ciò che gli bruciava dentro da tempo. Appena Biancaneve aprì gli occhi e si alzò per sorridere al suo salvatore, Effe si fece avanti e si produsse in un teatralissimo gesto dell’ombrello. In sostanza mandò a quel paese Biancaneve davanti a insegnati e genitori che già applaudivano ammirati, precipitando il saggio da festa orgogliosa e sognante a uno scandalo.

META’ dei suoi compagni sghignazzarono di quella prodezza, l’altra metà non capì che cosa succedeva mentre la madre entrò in grande imbarazzo. Effe fu sgridato a dovere dagli insegnanti, guardato male dalla gran parte dei genitori che persero un’occasione fantastica per rendersi conto che avrebbero dovuto fare proprio il contrario, ovvero cercare di capire le ragioni di quel gesto e che Effe rappresentava l’ottavo nano, il ribelle che sapeva guardare molto più lontano di loro, la voce svelante che sta fuori dal coro e che, in sostanza, dice State celebrando delle stronzate. Effe non credeva nel bacio salvifico, non sopportava quell’oca di Biancaneve, trovava ridicolo e anacronistico il principe che ha il potere di ridare la vita, non si riconosceva nel ruolo di nano servente e si ribellò a tutto ciò con un gesto dissacrante.
Ecco, a tutti voi e noi auguro questo per il prossimo anno. Di tirare fuori dalle viscere l’ottavo nano che è in noi e dargli ciò che si merita, una statura che emerge, rivolta e disturba.

mariangela.mianiti@gmail.com