Modello da seguire, ma anche fatto particolare che illustra un’idea generale. La vita di Bianca Guidetti Serra – scomparsa a 95 anni ieri l’altro a Torino – è stata un esempio nel duplice significato del termine: un punto di riferimento, e la rappresentazione del Novecento «in una persona sola». Come si può ricavare dall’autobiografia (Bianca la rossa, Einaudi), scritta vincendo le ritrosie di chi preferiva esprimersi «dal punto di vista del noi anziché dell’io»: il racconto di una storia individuale intrecciata come poche altre alla Storia delle grandi vicende collettive.

Torinese, figlia di una sarta e di un modesto avvocato, la sua «introduzione alla politica» sono le leggi razziali, patite attraverso le discriminazioni subite da Alberto Salmoni, divenuto poi suo marito, e dagli amici che conosce attraverso di lui, come Primo Levi, a lei legatissimo. Orfana di padre, ne segue le orme, laureandosi in giurisprudenza tre settimane prima della destituzione di Mussolini. Diventata nel frattempo comunista, partecipa alla Resistenza nei «Gruppi di difesa della donna». La lotta di Liberazione vissuta come lotta politica per l’emancipazione femminile, che senza soluzione di continuità prosegue nell’attività sindacale dell’immediato dopoguerra.

Un «femminismo», quello di Guidetti Serra, consegnato alle splendide pagine di Compagne, raccolta di testimonianze di partigiane torinesi. Un «femminismo» non teorico (da cui si sentì sempre distante, lei «emancipazionista») ma praticato nel ruolo di avvocata, professione che esercita dal 1947: un caso fra tanti, quello di Gigliola Pierobon, processata nel 1973 per aborto volontario. Il «lungo Sessantotto» è l’apogeo del suo ruolo di «militante» nelle aule di giustizia: dalla difesa degli studenti a quella dei detenuti in lotta, dagli obiettori di coscienza alla parte civile nello storico processo per le schedature Fiat (vicenda raccontata in un altro suo prezioso libro, Le schedature Fiat): l’immenso archivio dei dipendenti compilato illegalmente dall’azienda. E il processo più difficile, quello al nucleo storico delle Brigate rosse, da difensore «tecnico» dei brigatisti che rifiutano di avere avvocato.

Negli anni Settanta Guidetti Serra è da tempo comunista «senza partito». Esce dal Pci nel 1956, per l’intervento sovietico in Ungheria: il suo spirito libertario e la sua autonomia di giudizio le impedivano di «tacere e giustificare». Il tradimento, per lei, stava nel silenzio, non nella denuncia dei carri armati. L’abbandono del Pci è «un trauma profondo», superato dimostrando «che si poteva fare politica anche senza il partito». Ad esempio, non a caso, nell’impegno internazionalistico: molto del suo attivismo successivo è nelle campagne di solidarietà con l’antifranchismo in Spagna. Deputata di Democrazia proletaria (1987-90), e poi consigliera comunale indipendente del Pds, dal suo passaggio attraverso le istituzione trae conferma «di non essere fatta per la politica». Quella con la p minuscola.