C’è una nuova inchiesta a Bologna sulla mancata protezione di Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dalle Br il 19 marzo del 2002. Ipotizza il reato di «omicidio per omissione»; è contro ignoti ma ha al centro una lettera che, prima dell’omicidio, lanciava l’allarme sui rischi corsi da Biagi. È stata trovata nel luglio scorso a casa dell’ex capo della segreteria di Claudio Scajola ed è vistata dal politico berlusconiano, adesso in carcere per la vicenda, diversa, della latitanza di Amedeo Matacena. Scajola era ministro dell’interno all’epoca dell’omicidio Biagi, fu costretto alle dimissioni (dal secondo governo Berlusconi) proprio perché definì Biagi «un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza».

Che Biagi fosse nel mirino dei terroristi, era cosa nota in parlamento e al governo nei giorni precedenti al suo assassinio. I servizi segreti lo avevano indicato nella relazione alle camere. Anche dell’esistenza di una lettera d’allarme si sapeva, era stato Maurizio Sacconi, sottosegretario al lavoro in quel governo Berlusconi e il politico (ex socialista poi forzista) più vicino a Biagi, a darne conto ai magistrati. Nell’aprile 2005 in corte d’assise a Bologna Sacconi raccontò che il giovedì precedente l’omicidio Biagi «proponemmo una lettera molto forte per ottenere la protezione di Biagi che il ministro non firmò perché non era a Roma, l’avrebbe firmata il mercoledì successivo». Ma Biagi fu ucciso il martedì. Il ministro del lavoro era Roberto Maroni. Potrebbe trattarsi della stessa lettera ritrovata adesso, visto che il ministro responsabile delle scorte era proprio Scajola.

C’è già stata un’inchiesta a Bologna per «cooperazione colposa in omicidio», ma la posizione dei funzionari di polizia coinvolti è stata archiviata, nonostante apparve chiaro che le Br scelsero di colpire Biagi perché era un bersaglio facile e non protetto. Però il gip bolognese non ritenne di aver trovato nella catena di errori, sia a livello centrale che periferico, che portò alla revoca della scorta al giuslavorista, circostanze di rilievo penale. Scajola testimoniò di non essere al corrente dei gravi rischi che correva il professore. Nelle frasi proferite a Cipro avanti ai giornalisti italiani (che il Corriere della Sera e il Sole 24 Ore pubblicarono, mentre il Tg1 non riferì), oltre al famigerato «rompicoglioni» Scajola suggerì anche di «chiedere a Maroni se Biagi era una figura centrale».

La lettera in questione sarebbe stata scritta da un politico socialista vicino a Biagi. Sacconi, con Maroni, fu il primo a chiedere le dimissioni dal governo del collega Scajola quando i giornali pubblicarono i suoi commenti sprezzanti sul professore, nel frattempo rimasto vittima delle Br. E fu sempre Sacconi a dire nei giorni successivi all’omicidio che «qualcuno si deve fare un esame di coscienza», e poi successivamente al processo dire anche di se stesso che avrebbe potuto «fare di più» per proteggere l’amico. I magistrati bolognesi che indagano sono il procuratore Roberto Alfonso e il sostituto Antonello Gustapane, lo stesso pm che aveva già indagato sulla mancata scorta, chiedendo però l’archiviazione. In procura sarebbe già stata sentita la moglie di Sacconi e forse anche lo stesso ex sottosegretario. Interrogato anche l’ex capo della segreteria di Scajola, Luciano Zocchi.

Si tratta di un ex prete che, scrive il Secolo XIX, «ha compiuto una strana carriera, probabilmente all’ombra dei servizi segreti». La sua casa è stata perquisita in merito a un’indagine su una presunta truffa a danno dei salesiani. E Zocchi adesso dice di aver conservato i documenti «a mia tutela». «Non sono mai stato sentito da chi al Viminale fece la relazione sulla scorta a Marco Biagi», aggiunge. Sostenendo di avere anche «registrazioni» oltre alle carte, che «se mi succede qualcosa qualcuno tira fuori». Documenti «che non ho mai voluto nascondere, io conosco suore e preti, conventi e monasteri, se volevo celarle alla giustizia avrei potuto nasconderle». Di tutto questo Zocchi sostiene di aver parlato anche al cardinale Tarcisio Bertone, in Vaticano. Che lo avrebbe consigliato di agire «secondo coscienza».