Un sistema di sgravi fiscali che si regge su una complessa interazione tra Stato, capitalismo e no profit sta legittimando l’elusione delle tasse e la mitizzazione della donazione caritatevole. Con il plauso di narrazioni sempre più acriticamente ammaliate dal potere economico. L’incancrenirsi del modello finanziario globale non ha infatti soltanto favorito un sistema che strizza l’occhio a chi evade ed elude il fisco, ma ha anche allargato le maglie di un tessuto sociale sempre più sfibrato dall’aumento delle disuguaglianze e dalle mancate riforme di ridistribuzione.

L’ISTRUZIONE è, paradossalmente, una delle dimensioni più danneggiata da questo modello e allo stesso tempo la più sostenuta dalle ricche elargizioni dei ricchi, in uno schizofrenico togli e dai che ha effetti perlopiù controproducenti.
L’ecosistema di progetti e no profit che gravitano intorno ai sistemi educativi nazionali hanno più volte sollevato l’interesse dei potenti, ben consapevoli del potenziale emotivo che può evocare una donazione indirizzata all’istruzione.
Nel settembre del 2018 Jeff Bezos, fondatore di Amazon, ha investito 2 miliardi di dollari nella fondazione di un’organizzazione non governativa, la Bezos Day One Fund. Alla base del progetto la volontà di finanziare la creazione di un network di scuole paritarie d’ispirazione montessoriana. Allievo montessoriano, Bezos ha ripetuto più volte l’importanza che quel metodo ha avuto nella sua vita. Proprio da questa consapevolezza è nata la necessità di give back, di donare, per restituire alla società parte della sua fortuna. Almeno apparentemente.

Jeff Bezos

BEZOS NON È IL PRIMO a investire nel sistema scolastico pubblico statunitense attraverso ingenti donazioni. Negli anni ‘60 la Ford Foundation devolvette ampie somme di denaro per sovvenzionare la decentralizzazione delle scuole pubbliche newyorkesi. Nel 2010 il ventiseienne Mark Zuckerberg donò 100 milioni di dollari per finanziare un progetto con l’obiettivo di riorganizzare attraverso consulenze esterne uno dei distretti scolastici economicamente più fragili. In molti casi, tuttavia, questi grandi afflussi di denaro non hanno generato i cambiamenti auspicati a causa di scarse conoscenze circa il contesto in cui si sarebbe dovuti andare ad intervenire.
La scelta di Bezos di promuovere il metodo Montessori appare, statistiche alla mano, più congeniale all’obiettivo preposto rispetto agli sforzi compiuti da altri magnati statunitensi.
Gli effetti della disuguaglianza del resto sono visibili già dai primi anni di scuola a causa di diversi fattori dati dal contesto sociale, familiare, dalla qualità dell’istruzione stessa e persino dalla percezione che i bambini hanno della propria situazione economica. Interventi di sviluppo educativo dunque, se hanno la pretesa di ottenere risultati efficaci, devono tenere conto di questi fattori.

IL METODO ITALIANO scelto da Bezos sembrerebbe riuscire nell’intento di appianare le sperequazioni dovute alla classe economica, di fatto rendendo la carità del fondatore di Amazon efficace, almeno sulla carta. Nonostante la scelta apparentemente illuminata di Bezos, il tweet con cui il fondatore di Amazon ha lanciato la sua iniziativa svela la totale mancanza di comprensione dell’ethos alla base delle scuole montessoriane: «We’ll use the same set of principles that have driven Amazon. Most important among those will be genuine, intense customer obsession. The child will be the customer». Il bambino è quindi al centro del processo educativo, ma non come individuo libero di crescere esprimendo le proprie vocazioni, bensì come un consumatore, un cliente da soddisfare, indirizzato nelle sue esigenze e non ascoltato nelle sue necessità.
Con la mano destra, dunque, Bezos si presenta come sostenitore e promotore del metodo italiano, con la sinistra distorce i principi del sistema montessoriano, minandolo nelle sue stesse fondamenta.
Il magnate, come altri titani della Silicon valley, ingenuamente replica quindi il cosiddetto charitable-industrial complex, o filantropia colonialista. La donazione diventa strumento di potere e, sotto un punto di vista sistemico, quasi di prevaricante.

L’IDEA CHE IL CAPITALISMO sporchi e il no profit pulisca del resto piace, perché non pone l’accento sulle radici del problema e disimpegna e perché rinforza l’illusione di vivere in un mondo giusto dove chi più merita più ha, e fa del bene a tutti.
Il risultato più comune della filantropia colonialista è il fallimento, perché fatta spesso senza conoscere o studiare il contesto in cui si intende immettere il flusso di denaro e perché finisce spesso per replicare un sistema ormai non funzionante.
La soluzione per una distribuzione più equa ed equilibrata c’è: è lo Stato. Basterebbe pagare le tasse, in fin dei conti.