Federico Ercole, intervistando Willem Dafoe, protagonista del nuovo gioco di David Cage/Quantic Dream Beyond: Two Souls (o Beyond: Due Anime), parla di questa opera, sul Manifesto del 15 ottobre scorso, come di un “non-videogioco” e di un “non-film”. La non appartenenza ad un medium in qualche modo codificato (pure se quello videoludico è tutt’ora tumultuosamente in fieri) è la cifra di quest’opera in cui David Cage fa compiere un passo avanti alla sua personale – e sicuramente affascinante – idea di “Opera Multimediale Interattiva” (per usare la definizione “alternativa” e “dotta” proposta da Marco Accordi Rickards).

Le sue opere precedenti – Fahrenheit (2005) e Heavy Rain (2010) – erano funestate da un sistema d’interazione, il cosiddetto “Quick Time Event” in cui dovevamo muovere il pad, i joystick analogici, premere i pulsanti in corrette sequenze coordinate alle indicazioni presenti sullo schermo, solo in qualche misura riferite a quanto effettivamente accade nel gioco, trasformando i giochi stessi in una sorta di “Guitar Hero” narrativo. Ma non per questo chi scrive aveva inserito quell’anno Heavy Rain tra i “perché no” dell’annata: per quanto il gameplay fosse scollegato dal fluire della storia, non era il problema maggiore dell’opera, superato di gran lunga dal finale in una storia dal potente e coinvolgente pathos che individuava il colpevole di una trama da giallo d’impianto tutto sommato classico in un personaggio che pure avevamo direttamente controllato e con esso contribuito a salvare vittime ed a svelare il mistero.

L’effetto è lo stesso della conclusione del famoso romanzo di Agatha Christie L’assassinio di Roger Ackroyd (pubblicato anche col titolo Dalle nove alle dieci) dove si scopre che l’assassino è lo stesso io narrante che fino alla fine ci ha condotto nei meandri dell’indagine assieme all’ineffabile Hercule Poirot. Ma l’effetto spiazzamento è ricercato dalla Christie e trovato in maniera scientifica e narrativamente accurata, mentre Cage ci lascia alla fine del suo Heavy Rain esclusivamente con domande senza risposta.

Per questo è innegabile che con Beyond: Two Souls Cage giochi meglio le sue carte. Intanto il sistema di controllo è semplificato e per quanto le performance del giocatore influenzino lo svolgimento del gioco non gli è più richiesto di prodursi in acrobazie videoludiche in cui il minimo sbaglio può portare alla morte di uno dei protagonisti. Poi la storia di Jodie – che Beyond ci propone di seguire dalla primissima infanzia alle soglie dell’età adulta – collegata ad un entità eterea di nome Aiden viene sconvolta in un intreccio che salta da un punto all’altro dell’arco temporale apparentemente in maniera causale: dalla vita nella famiglia adottiva, alla permanenza nel centro di ricerca dove il dottor Nathan Dawkins (impersonato da Dafoe) studia il suo legame con Aiden e con la dimensione da cui proviene, all’ingaggio da parte della C.I.A. con missioni di spionaggio e di esecuzione di nemici politici, alla sua fuga ed alla sua vita di strada, fino al ritorno da Nathan e dalla C.I.A. per un’ultima missione che consenta di arginare l’invasione del nostro mondo da parte delle forze della dimensione alternativa.

Fin dall’inizio ci accorgiamo che l’aver fatto interpretare a degli attori in carne ed ossa – di più: a dei bravi attori – i personaggi del gioco non è stato un vezzo per richiamare il pubblico cinematografico ma riesce veramente, in particolare per Jodie, interpretata da Ellen Page, a imprimere un profondo pathos al personaggio. Ellen Page riesce perfettamente a ricreare il disagio e le lacerazioni di bambina/ragazzina/adolescente che si confronta con persone che costantemente la considerano qualcosa a metà strada tra una strega ed una cavia da laboratorio. Senza questa intensa interpretazione non sarebbe stato credibile in un videogioco il “livello” in cui una Jodie in fuga dalla C.I.A. si ritrova a vivere in strada tra gli homeless, a mendicare un tozzo di pane, a rubare in un supermercato l’indispensabile per sopravvivere, a far nascere, in un casermone abbandonato la figlia di una donna ridottasi a vivere in strada per sfuggire al fidanzato che la picchiava una volta venuto a conoscenza della gravidanza.

Ma quello che colpisce maggiormente in Beyond è che fondamentalmente tutto il videogioco è una riflessione sul gioco stesso. Tutti noi – videogiocatori – siamo Aiden: l’entità soprannaturale (non a caso gestita in prima persona) che segue Jodie, la protagonista del videogioco, e la protegge consentendole d’arrivare alla conclusione. Aiden è collegato a Jodie da una sorta di cavo di luce come il cavo – materiale o immateriale nel caso del wireless – che collega il pad con cui lo controlliamo alla consolle. Aiden a differenza degli altri personaggi – e specialmente di Jodie – non è caratterizzato da un avatar ma anzi, nei disegni che ne fa Jodie bambina, è una sorta di blob informe perché non è un individuo solo ma l’insieme sfocato di tutti i videogiocatori che l’impersonano.

Aiden arriva da una dimensione diversa che si teme possa invadere il mondo: il mondo dei videogiochi come li vede David Cage, avventure sempre più proiettate a riscrivere in senso interattivo il medium cinematografico, invaso da alieni che portano terrore e scompiglio. Questi videogiocatori alieni sono i creatori di videogiochi indipendenti? i “modder”? i giocatori dei titoli “massive multiplayer”? (Tra l’altro occorre sottolineare en passant che Beyond può essere giocato in modalità cooperativa da due giocatori). L’unico elemento certo è che Beyond, ludicamente e metaludicamente, c’indirizza verso un’orizzonte videoludico diverso al trend odierno in cui a prevalere sembrano essere i “casual game” ed il multiplayer attraverso un’opera che riscrive il medium videoludico “come se” le avventure grafiche non fossero ormai un genere residuale ma al contrario si fossero attestate come genere guida di tutto il medium.