«Sono felice che stia giungendo un’intesa tra maggioranza e minoranza del Pd sulla riforma del senato. Una rottura sarebbe stata incomprensibile. Ma la contesa è stata lunga e esasperata. E accusare Renzi di non discutere nel partito è una bugia, come del resto l’intesa dimostra». Goffredo Bettini, europarlamentare, fondatore del Pd dell’era Veltroni oggi si definisce «un atipico della maggioranza». Lui, devoto a un comunista «anomalo e moderno» come Ingrao contesta ai suoi compagni ex Pci-Pds-Ds nientemeno che il ruolo di eredi della sinistra.

La minoranza ha mosso accuse strumentali contro Renzi?

Non ho mai visto funzionare la direzione quanto oggi. In tanti casi si sono accolte le proposte della minoranza; per esempio sull’Italicum, l’aumento della soglia per il premio di maggioranza e l’abbassamento del quorum per la rappresentanza. In passato abbiamo cambiato linea quattro volte nel giro di qualche giorno: prima abbiamo proposto un governo con Grillo, poi Marini come capo dello Stato con Berlusconi, poi Prodi contro Berlusconi e infine abbiamo fatto un governo con Berlusconi. Tutto senza riunire la direzione.

Con Bersani il Pd discuteva meno di oggi?

Certo. E comunque mi sembra assurdo, ed un arretramento politico-culturale, concentrarsi su aspetti certo da considerare bene, ma di dettaglio, definendoli decisivi per l’equilibrio democratico; continuando invece a mettere in ombra il cuore dello sfascio della democrazia italiana; vale a dire la strutturale e tragica assenza di credibili canali di rappresentanza tra cittadini e potere. Un tempo questo lavoro era svolto dai partiti di massa. Oggi c’è il deserto. Possibile che una parte del mio partito, che proviene dalla storia del Pci, consideri epocale le modalità dell’elezione dei senatori e marginale il deterioramento della nostra vita interna, tra correnti e notabili, trasformismi e casi di corruzione? Su questo non sento proposte di radicale rinnovamento. Non si può essere vigili sulle preferenze e sonnambuli sul nostro coinvolgimento nello sfascio democratico.

I principi costituzionali sono «dettaglio»?

Per me il Senato andava abolito. Così la pensavai l Pci. Il bicameralismo perfetto fu il modo di “garantire” tempi lunghi nel legiferare, dopo la rottura tra Pci e Dc nel ’47. L’Italicum prevede un premio a chi raggiunge il 40%. Una soglia non raggiunta dal Pd nel 2013 quando però Gotor si sentì legittimato a chiedere per Bersani la guida del governo. Sui modelli istituzionali sono legittimi i ripensamenti. Ma con misura e senza palpiti epocali.

L’elezione indiretta dei senatori non allontana i cittadini dalla loro rappresentanza?

Legittimo pensarlo. Ma posso dire che è una cosa marginale? La domanda di senso e di rappresentanza va molto oltre. I cittadini italiani votano in continuazione, ma sempre di meno. Non si interessano di politica, molti la detestano. Qualcuno crede che un voto in più sia risolutivo? Non scherziamo. Serve un soggetto politico che dia voce alle persone disperse e sole. Le domande non arrivano più ordinate. I corpi intermedi più che raccogliere la linfa dai loro associati sono stati sussunti da uno stato burocratico, oligarchico e alla fine consociativo che conserva se stesso. La sinistra deve rifondarsi non con residuali simboli e involucri del passato, ma a partire dalla vita vera e nuda delle persone che non trovano difesa e vivono senza partiti né sindacato. I processi o ripartono anche dal basso, o non ripartono. Su questo concordo con l’analisi di Landini.

Ma Landini non cura la scarsa rappresentanza picconando i sindacati come invece fa Renzi.

Non mi pare che Renzi picconi i sindacati. Piuttosto mi aspetto da un sindacato che riuscì a portare una marea di lavoratori del Nord a Reggio Calabria per domare Ciccio Franco una qualità di iniziativa diversa da quella di oggi. E poi, anche nel sindacato c’è un problema grandissimo di democrazia. Anche in questo ha ragione Landini. Quella del sindacato, come quella del partito, sono riforme a costo zero eppure non si fanno. Al Pd dico: aboliamo le correnti, facciamo i referendum sulle grandi scelte politiche, costruiamo sedi aperte di confronto e decisione che aiutino a civilizzare il Paese. La minoranza poteva sfidare Renzi su questo; altro che il listino dei senatori. In questo senso Tsipras è un esperimento interessantissimo. Massimo decisionismo del leader e massima decisione diretta da parte dei cittadini. Il rapporto complesso tra queste due dimensioni gli ha permesso di navigare in una situazione quasi impossibile.

Renzi ha criticato proprio quel referendum convocato da Tsipras.

Ha sbagliato valutazione, forse per scarsa conoscenza della personalità politica di Tsipras. Io, dopo averlo ascoltato, ho avuto l’impressione di un politico forte, coerente, radicale ma pragmatico. Renzi ha ridato all’Italia, dopo la mortagora della fase tecnica, la decisione politica; spetta a una tradizione di sinistra innovativa riannodare una rete diffusa di rappresentanza e di potere dal basso. Come fece nel dopoguerra.