Goffredo Bettini, alla prima mossa del ‘nuovo Pd’, la richiesta di approvare lo ius culturae, Di Maio ha risposto picche. Come deve proseguire la dialettica del governo, a bracci di ferro e ultimatum con il rischio che la corda si spezzi?
Nessuno può impedire al Pd di affermare un principio umano e civile come l’ius culturae e lo ius soli. Sono principi operanti in tanti Paesi liberali e democratici. E sono anche sostenuti dalla stragrande maggioranza dei fedeli cristiani. Al contrario di altri partiti, noi non useremo la clava per far prevalere le nostre opinioni. Vogliamo discutere con gli alleati di governo, con pacatezza e serietà. Poi tireremo le conclusioni tutti assieme. La polemica così aspra sulle parole di Zingaretti è un tentativo di scatenare una tempesta in un bicchier d’acqua.
I 5 stelle resistono alla prospettiva di alleanza stabile, indicata da lei fra i primi. Se fra loro dovesse prevalere il no, il Pd dovrebbe darsi un’altra linea?
La maggioranza attuale si è data un orizzonte di tutta la legislatura. Se dà fastidio chiamare tutto ciò un’alleanza stabile, definiamola diversamente. Ma non vorrei che si teorizzasse un’alleanza “instabile”. Il Paese è diviso e spaesato. Ha bisogno di punti di riferimento certi, responsabili e operosi. Stringe il cuore vedere una destra solidale e cattiva e un centrosinistra conflittuale e inconsapevole. Il Pd non si rassegna a questo andazzo.
Una delle parole chiave del palco di Bologna è stata, mi sembra, ‘radicalità’. Il nuovo Pd è più spostato a sinistra?
Le vecchie geometrie politiciste non danno conto del dibattito in corso nel nuovo Pd di Zingaretti. A Bologna hanno partecipato personalità di varia provenienza e orientamento. Si illude chi spera in una nostra deriva settaria. Il termine “radicalità”, che mi piace, va inteso come la volontà di andare senza tanti fronzoli alla radice della moderna sofferenza delle persone. Esse sono sole, disperse e vulnerabili. Non solo sul piano economico, ma anche esistenziale. C’è un riformismo astratto e ideologico che va combattuto. E un riformismo incarnato che attraversa la realtà, cercando di riscattare la condizione umana. Non so se questo è più o meno di sinistra. So che questo è socialista, è cristiano, è democratico e repubblicano, in quanto fedele alla nostra Costituzione. Ma è soprattutto umano; la sola dimensione che ci interessa e ci appartiene. Questo è venuto fuori dai tre giorni di Bologna.
Trapela però l’allarme delle aree di provenienza margheritina ed ex renziana. Hanno ragione a preoccuparsi?
No. Ho sentito degli ottimi interventi di Gentiloni, Delrio, Guerini, Franceschini. Delrio ha parlato del valore delle comunità. Quel senso di appartenenza non distruttivo, ma costruttivo. Attento alle esigenze materiali, ma anche a quelle dell’animo. Il Pd, per questo, è l’incontro tra credenti e non credenti che, nel tempo che ci è dato, operano per migliorare la vita di tutti.
Renzi, dice il senatore Marcucci, festeggerebbe un Pd più di sinistra. Uno dei renziani parla di un Pd diventato ‘partito socialdemocratico’. Sarebbe un errore costruire un vero partito socialdemocratico in Italia, dopo vari tentativi malriusciti?
Renzi ha poco da festeggiare. Bologna ha confermato che nel futuro la competizione in Italia sarà tra un campo progressista e democratico e la nuova e pericolosa destra risorgente. Noi siamo il pilastro del campo democratico. Renzi per ora ha manifestato solo le sue legittime ambizioni personali, ma non cosa e chi vuole rappresentare. Vedremo. Ma i problemi di una sua inevitabile scelta non li risolve con un attivismo che vuole parlare a tutti, ma che rischia di non parlare a nessuno.
Orlando ha criticato la vecchia Terza via, ma è una critica non condivisa da una parte del partito. Siamo ancora a un amalgama difficile da compiere?
Orlando ha svolto un intervento rigoroso e ragionato. La Terza via, in effetti, appartiene ad una fase storica ormai superata. Ha ottenuto anche risultati importanti. Tuttavia è stata troppo ottimistica nella lettura della globalizzazione, almeno per quanto riguarda i suoi effetti in Occidente. Alla fine è risultata subalterna al pensiero dominante liberista. La sinistra, dopo il decisivo triennio ’89-’92, nel quale sono cadute tutte le vecchie “forme” politiche, non è riuscita a costruirne di nuove e a elaborare un nuovo pensiero. Non è riuscita a proporre nuovi punti di riferimento per grandi masse disorientate. Questa difficoltà si è prolungata per troppo tempo. Alla fine la nuova destra è entrata in campo con i suoi terribili paradigmi, che hanno vinto anche tra estesi strati di popolo.
Il nuovo statuto – segretario non necessariamente candidato premier e alleanze anziché vocazione maggioritaria – discosta il Pd dall’ispirazione delle origini del 2007?
La vocazione maggioritaria sta nella natura del Pd. È la capacità di essere “parte” ma di pensare il “tutto”. È l’ispirazione democratica e nazionale che mai dobbiamo abbandonare. Scindere, tuttavia, la meccanica identificazione tra il segretario del partito e il candidato premier, nella situazione di oggi, non è chiudersi in se stessi, o ridurre le nostre ambizioni; piuttosto è aprirsi con più credibilità ad un campo più largo di alleanze politiche, sociali e civiche.
Il premier Conte chiede una mano alle forze di maggioranza, che su molti dossier mettono in scena conflitti forti, anche pericolosi per la stabilità del governo. Anche il premier deve fare uno sforzo maggiore di direzione dell’azione di governo?
Ho consigliato a Conte di riunire all’inizio del prossimo anno tutti i parlamentari di maggioranza. Non in una chiacchierata, ma in una iniziativa politica per presentare un suo indirizzo e una sua agenda, che tengano conto anche delle novità delle ultime settimane. Si discuta, si decida insieme e poi si operi con la disciplina necessaria per far vivere un qualsiasi organismo collettivo.
Salvini si è trasferito in Emilia. Sembra invece che Bonaccini chieda allo stato maggiore della maggioranza di non sovrapporsi alla campagna per le regionali. Un governo che rischia di essere una zavorra per i candidati alle amministrative del centrosinistra è un governo che non riesce a ritrovare una connessione – sentimentale, di popolo – con il paese?
Salvini si è trasferito in Emilia perché non ha un candidato credibile e, dunque, vuole politicizzare, mettendo in secondo piano l’Emilia-Romagna. Anche perché ha ben poco da dire in proposito. Bonaccini non ha bisogno della grancassa nazionale. Porta risultati eccellenti circa la crescita, la qualità della vita, la stabilità della sua giunta. Ha governato benissimo. Nella battaglia deve stare in prima fila. I leader nazionali devono accompagnare ed essere di supporto; soprattutto, ora che governiamo l’Italia, realizzando nei due mesi futuri, decisioni positive che aiutino un miglioramento delle condizioni di quella straordinaria regione.