Zombi, ma senza la «e» finale. Bertrand Bonello segna la distanza dai revenant del cinema americano e il ritorno alle loro origini haitiane fin dal titolo del suo nuovo film, Zombi Child. Dopo i ragazzi bombaroli di Nocturama (rifiutato da Cannes in seguito agli attentati parigini del novembre 2015), il regista francese di L’Apollonide e di Saint Laurent torna all’adolescenza intrecciando la storia (vera) di Clairvius Narcisse, riportato in vita nella Haiti del 1962 per fare lo schiavo nelle piantagioni, a quella della nipote quindicenne, allieva nella Parigi di oggi del prestigioso collegio della Legion d’Onore. Già in concorso alla Quinzaine des réalisateurs di Cannes, il film è stato presentato alla Fondazione Prada di Milano che lo proietterà il 18 gennaio e il 1° febbraio, e da ieri è su Mubi, piattaforma streaming di cinema d’autore.

Com’è nata l’idea?

Molti anni fa, per ragioni personali, mi ero interessato ad Haiti. E quando ci si interessa ad Haiti rapidamente si arriva al voodoo, e dal voodoo agli zombie e a Clairvius Narcisse, il più famoso. Avevo questa storia in testa, ma non pensavo di farci niente. Finché un anno e mezzo fa mi è venuta voglia di fare un film in modo diverso, più veloce, autoprodotto, e all’estero, e me ne sono ricordato. Mi sono chiesto che cos’è uno zombie, e mi è venuta in mente l’immagine di un uomo che cammina ad Haiti con la testa abbassata. Tutto è partito da lì. La storia di Clairvius era già scritta, perché è una storia vera.

Ci crede davvero?

Gli zombie ad Haiti sono una cosa complicata, è come parlare dell’uso cattivo del voodoo: è un tabù, la gente non ne parla. Io ci credo, ma anche se non fosse vero, fa talmente parte dell’immaginario collettivo che è come se fosse vero.

La situazione di Haiti resta drammatica. È stato difficile girare sul posto?

Molto difficile. Tutti mi dicevano che era una follia, che dovevo girare in Repubblica Dominicana o in Martinica. Haiti è forse il paese più difficile del mondo, perché non funziona niente, per la mancanza di infrastrutture, per la povertà. Ed è durissimo. Ci siamo andati tre volte, siamo rimasti lì un mese e mezzo. Durante il secondo viaggio non siamo potuti uscire dall’hotel, il Paese era bloccato da manifestazioni molto violente contro la sparizione dei fondi di beneficenza; ma la vera ragione è che il popolo non ha più nessuna fiducia nel governo. La difficoltà maggiore è stato farsi accettare.

Racconti.

Arrivo io, bianco, francese, e dico di voler fare un film sul voodoo e gli zombie: ovvio che fossero diffidenti. E hanno ragione, perché il voodoo è stato un mezzo per demonizzare il Paese, in particolare sotto l’occupazione americana. Sono francese, quindi il punto di vista doveva essere francese. Così mi sono inventato un tempo contemporaneo in Francia: la nipote di Clairvius che arriva a Parigi, i suoi sono morti nei terremoti di Haiti, e lei frequenta la scuola della Legion d’Onore. Un collegio fondato da Napoleone, ossia colui che ha voluto ristabilire la schiavitù ad Haiti e che ha provocato la rivoluzione con cui gli haitiani sono diventati il primo popolo nero libero nel 1804. Chiaramente, avevo anche voglia di parlare di colonialismo.

Un film politico, dunque.

È un piano di lettura. Ho messo insieme due storie semplici per vedere se ne scaturiva qualcosa di più e di diverso. La figura dello zombie ormai è pop, ma riportata alla sua origine ci parla di schiavitù. E il professore di storia della prima scena (lo storico Patrick Boucheron, ndr) dice che la Francia è il Paese della libertà, dove è nata la rivoluzione, ma si chiede anche se sia sempre stato corretto a questo riguardo. La risposta è no. Parla di responsabilità, di trasmissione della libertà. Sappiamo che cosa fare della nostra storia? Gli haitiani non lo sanno bene: sono stati schiavi, poi il primo popolo nero libero, poi colonizzati, e adesso? Nemmeno noi francesi però lo sappiamo, non riusciamo più a trasmettere il senso di certi diritti ai giovani.

Che sono i protagonisti del film come già in «Nocturama».

Tutto il soggetto di Nocturama era in un gesto di ribellione che, al contrario di quanto succedeva negli anni ’70, aveva dietro la difficoltà di produrre un discorso. Avevo scelto i giovani perché la rivoluzione storicamente è nelle loro mani, viene identificata con una forma di romanticismo e di ingenuità che si hanno a vent’anni e che poi svaniscono. Stavolta mi piaceva l’idea di mettere il film all’altezza dei ragazzi, l’adolescenza è un’età perfetta per una storia di zombie.

Però «Zombi Child» è anche un film di genere.

È un film che gioca con i generi e se ne serve per andare verso qualcosa di più politico. Passa per il teen movie, per la possessione. Ho rivisto Il serpente e l’arcobaleno di Wes Craven, tratto dallo o stesso libro su Clairvius, e Ho camminato con uno zombi di Jacques Tourneur, che è stato un’ispirazione visiva, come Suspiria per il collegio delle ragazze. Dario Argento mi ha ispirato anche per le musiche, che scrivo in parallelo alla sceneggiatura; c’è un tema che rimanda al primo Argento e a certe partiture di Morricone con i cori di ragazze.

Il suo film è ora su Mubi. Che opinione ha delle piattaforme streaming?

Non c’è da pensarne bene o male, esistono, la vera domanda per noi registi è se si potrà lavorarci, e in che modo. Mia figlia ha 16 anni e in streaming sta scoprendo cose che non potrebbe mai scoprire al cinema. Non credo che rappresentano la fine della sala, sono complementari, ci vuole fluidità. Anche al Festival di Cannes dovranno accettarlo.

La Francia è scossa dagli scioperi da settimane.

Al di là delle pensioni oggi c’è molta gente che non si sente considerata. Lo sciopero è un diritto contro un governo che non ascolta la gente.

C’è in preparazione una nuova legge sull’audiovisivo. Cosa ne pensa?

Sono il presidente dell’associazione dei registi, stiamo negoziando. La legge è necessaria, l’ultima risale agli anni ’80, ma bisogna stare attenti che non sia solo un regalo alle imprese, ma che rispetti anche la creazione indipendente. Sarà un confronto duro.