Di occupazioni Roma ne ha viste tante: una fortezza ottocentesca, un cinodromo, una torre, decine di edifici abbandonati. Dalla fine degli anni Settanta sono comparse soprattutto nelle zone est e sud della città. Mai, però, uno spazio sociale era nato nel parco della Caffarella. Almeno fino all’alba del 6 marzo scorso. Poche ore dopo la fine della grande manifestazione contro la guerra di piazza San Giovanni, decine di attiviste e attivisti sono entrati in una palazzina a due piani circondata da un ampio giardino.

HANNO APERTO STRISCIONI e bandiere e l’hanno trasformata nella Laboratoria ecologista autogestita Berta Cáceres. In Italia è la prima occupazione che mette al centro la crisi climatica, nella capitale è l’unica che dal 2015 regge più di 48 ore. Si trova in mezzo a uno dei cuori verdi della città, a due passi dall’Appia antica e dalle Catacombe, non lontano dalle ville esclusive dei super ricchi di Roma.

«VOLEVAMO INTRECCIARE l’ecologismo radicale con la storia dell’autogestione», dice Riccardo. Sulla bandiera che sventola all’ingresso lo storico simbolo dei centri sociali è rivisitato in chiave ambientale: al posto della saetta, segno di azione e dinamismo che rompe il cerchio della routine metropolitana, c’è un albero che disegna la stessa traiettoria. Le radici da un lato e la chioma dall’altro.

Il simbolo della laboratoria Berta Cáceres all’ingresso dell’occupazione, foto di Giansandro Merli

«SI CHIAMA LABORATORIA, al femminile, perché per noi la ridefinizione delle parole è importante», dice Barbara. Il femminismo, anzi il transfemminismo, portato avanti in questi anni da Non una di meno, è l’altra traiettoria che insieme alla difesa dell’ambiente porta alla nascita del progetto. Nei cartelli e sulle scritte che decorano i muri compare la schwa, il simbolo che infrange il binarismo di genere e fa andare su tutte le furie i puristi della lingua e dei ruoli sociali.

«BERTA ISABEL CÁCERES Flores era una donna, femminista, ecologista, del popolo indigeno Lenca uccisa nel 2016 in Honduras perché lottava per difendere la terra. Abbiamo voluto dedicarle questa esperienza perché rappresenta le tante battaglie che da qui vogliamo organizzare», spiega Cristina. I progetti sono molti e in via di definizione. Ruotano intorno a modelli di consumo, mobilità e alimentazione alternativi. Al centro il bisogno di autoformazione, di studiare per costruire nuove lenti con cui guardare alla crisi climatica. «Ma non ci interessa creare un’isola felice. Servono pratiche politiche conflittuali che difendano il mondo dal disastro ecologico», continua Riccardo.

L’OCCUPAZIONE ARRIVA sull’onda lunga dei nuovi movimenti ecologisti, ma la partecipazione di Fridays for future, Extinction rebellion o altre realtà avviene in forma individuale. Il punto di svolta da queste parti è stato il Climate camp organizzato dalla Rete ecosistemica nel centro sociale Acrobax, a ridosso del G20 su clima e pandemia di fine ottobre scorso. Subito dopo l’apertura dello spazio, si sono aggregate nuove persone: nelle prime assemblee di gestione sono una cinquantina.

L’EDIFICIO È DI PROPRIETÀ di due fondi: uno della Regione Lazio (70%), l’altro del ministero Economia e finanze (30%). I tentativi di vendita degli ultimi anni non sono andati a buon fine. Dopo l’occupazione si sono affacciati i consiglieri capitolini Alessandro Luparelli e Michela Cicculli (Sinistra civica ecologista) e ci sono state interlocuzioni con il presidente dell’ VIII municipio Amedeo Ciaccheri e la consigliera regionale Marta Bonafoni.

PER LA CONVOCAZIONE di un vero tavolo di trattativa tra attiviste e regione, però, si attende un segnale dalla giunta di via della Pisana. «Le istituzioni fermino la vendita ai privati e garantiscano la funzione sociale ed ecologica di questo edificio», dicono dalla laboratoria.