A cavallo di fine d’anno, Massimo D’Alema su Italianieuropei e Pierluigi Bersani su Il campo delle idee hanno scritto interessanti riflessioni e proposte per rivitalizzare la sinistra in Italia e in Europa. Il percorso analitico e l’agenda è sostanzialmente coincidente.

Entrambi avvertono la discontinuità di fase segnata nel 2016 dalla Brexit, dalla vittoria di Trump e dalla valanga di No al nostro referendum costituzionale. Nelle loro riflessioni, vi sono anche espliciti passaggi autocritici, in particolare D’Alema sottolinea che «la valutazione ottimistica della globalizzazione si è rivelata sbagliata. …

E il punto di partenza da cui la sinistra deve riprendere le mosse non può che essere, necessariamente, la presa d’atto onesta di questo errore». Entrambi riconoscono l’arretramento delle condizioni del lavoro. Entrambi spiegano la marginalità della sinistra storica, ovunque al di qua e al di là dell’oceano Atlantico, con la sua subalternità al neo-liberismo. Entrambi propongono, come cura alternativa alle ricette dell’ultimo quarto di secolo, aumento degli investimenti pubblici, equità fiscale, regolazione protettiva del lavoro, ricostruzione del welfare, politiche industriali.

Tutto bene, dunque, possiamo ricominciare oltre il renzismo? No.

Nelle loro riflessioni, comprensibilmente dato il loro curriculum, vi è un enorme rimozione politica: l’Unione europea e l’euro. Per ricostruire la sinistra, o comunque si voglia chiamare un soggetto politico che rappresenta l’interesse specifico del lavoro e della giustizia sociale e ambientale, dobbiamo prendere atto che il mercato unico senza standard sociali e ambientali, in particolare dopo l’allargamento a 28 dell’Unione, e l’euro sono stati fattori di aggravamento delle conseguenze negative della globalizzazione.

Dobbiamo prendere atto che la “costituzione” vigente nella Ue, ossia i trattati europei e il Fiscal Compact, esprimono principi radicalmente contraddittori con le costituzioni post Seconda Guerra mondiale, in particolare con la nostra: i primi sono fondati sulla stabilità dei prezzi e sulla concorrenza; le seconde sulla dignità del lavoro.

Dobbiamo prendere atto che la svalutazione del lavoro è la fisiologia della moneta unica, non il frutto dell’inseguimento fuori tempo massimo della moda blairiana da parte di Renzi. Dobbiamo prendere atto che nella Ue e nell’eurozona-zona abbiamo costituzionalizzato la versione estrema del neo-liberismo.

Il popolo delle periferie economiche, sociali, culturali, oltre che territoriali è diventato ovunque ostile alla sinistra storica perché la sinistra storica lo ha colpito e continua a colpirlo con la corresponsabilità dell’ordine economico e sociale dell’euro-zona. Insomma, i fiori all’occhiello de l’Ulivo sono, in realtà, colpe gravi verso gli interessi di riferimento della sinistra. Oggi, va di moda separare il Pd dal renzismo. Fa parte della rimozione politica scaricare le responsabilità sull’ultimo arrivato.

Ma Matteo Renzi non è un incidente di percorso nel Pd. Non è un usurpatore. Matteo Renzi è la conclusione del lungo ciclo post-89 della sinistra storica italiana e europea, dopo Blair, Schroeder, Zapatero, Hollande. In particolare, Matteo Renzi è l’interprete estremo, ma coerente, della democrazia plebiscitaria alla base dello statuto del Pd e del liberismo europeista celebrato al Lingotto.

Purtroppo, sia D’Alema che Bersani eludono il piano della praticabilità economica e politica delle loro proposte “keynesiane”. Sono ancora indisponibili a riconoscere che «reintrodurre l’art 17 e mezzo» è impossibile con l’euro, fondato sulla svalutazione del lavoro nel quadro mercantilista radicato nella storia profonda della Germania.

Per attuare la nostra costituzione, va preso atto, oltre alla “valutazione sbagliata” di una globalizzazione divenuta orfana, della necessità del superamento condiviso dell’euro. L’obiettivo non è una deriva autarchica, ma il rilancio dell’Ue come cooperazione fra Stati nazionali, rivitalizzati dalla disponibilità della moneta, della politica di bilancio, del controllo dei movimenti di capitali, della protezione del lavoro negli scambi di merci e servizi.

Ovviamente, non possiamo tornare a Breton Woods e ai “Trenta gloriosi”, ma almeno possiamo riconquistare qualche leva da agire in alternativa alla svalutazione del lavoro. Per il sottoscritto e per tanti altri sta qui la necessaria ragione fondativa di Sinistra Italiana. La esplicitiamo in un emendamento al documento congressuale. Speriamo di fare qualche passo avanti.

* Sinistra Italiana