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Bersani attende un segnale verde lumbard

Bersani attende un segnale verde lumbardPier Luigi Bersani – foto Emblema

Governo Oggi Bersani vede Pdl, Lega e autonomisti. Basta una ventina di senatori fuori dall'aula per l'ok al suo governo. Ma il Colle pretende un impegno pubblico. Così la fiducia possibile diventa impossibile

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 26 marzo 2013

I numeri per il governo Bersani, ci sarebbero. Pallottoliere alla mano, per ottenere la fiducia al senato il leader di centrosinistra potrebbe contare sull’uscita dall’aula di Lega e del Gruppo Autonomie e libertà. Contando sull’assenza del senatore a vita Giulio Andreotti, il governo Bersani otterrebbe due voti di vantaggio. È poco, pochissimo. Ma basterebbe per «accendere il motore della macchina del governo a doppio registro», come spiega Miguel Gotor, neosenatore molto vicino al segretario Pd: un governo che, una volta partito, cerca i voti del M5S sulle riforme sociali e quelli del centrodestra sulle riforme istituzionali, come del resto prevede la Costituzione. «E come abbiamo sempre fatto», spiega Enrico Letta introducendo la direzione-lampo del Pd in serata, convocata da Bersani con diretta streaming per silenziare malpancisti interni, quelli che aspettano il suo fallimento per dichiararsi a favore delle larghe intese, ovviamente con un altro leader.

Infatti tutti tacciono: tanto il giorno X è arrivato. Dalla consegna del silenzio sfugge l’intervento di Vittoria Franco. Subito Franco Marini propone una mozione d’ordine: sostenere il segretario senza se e senza ma. Tutti a casa.
«Le riforme costituzionali si possono fare solo nel dialogo con gli altri e qui sta la legittimazione necessaria. La Costituzione non la cambiamo se non insieme agli altri. Quando abbiamo provato da soli è stato un errore», argomenta dunque Letta alludendo alla riforma del Titolo V. Ma il vicepresidente del Pd fatalmente si spinge fino a dire che «non è possibile a uscire da questa legislatura senza avere chiuso la partita della riduzione del numero dei parlamentari, di una nuova legge elettorale e della fine del bicameralismo perfetto», così rivelando – si fa per dire – che comunque vada la legislatura andrà avanti.

Eppure il «miracolo» di Bersani non è impossibile. Oggi, nel pomeriggio, il calendario delle consultazioni prevede il fatidico ’Gal’, poi la Lega, il Pdl (Berlusconi ha fatto sapere che ci sarà) e Scelta Civica. Alle destre Bersani proporrà non una larga intesa, ma comunque un’intesa. Piccola piccola: «La nostra proposta consente a tutti di assumersi un pezzo di responsabilità. A nessuno chiediamo l’impossibile. Chiediamo di non impedire questa soluzione».

Ed è persino probabile che Lega e Pdl concordino un atteggiamento combinato per non far cadere Bersani al senato. Forse anche alla camera, dove i numeri sono a favore del centrosinistra e da dove potrebbe partire la discussione sulla fiducia. Lega e Pdl non vogliono tornare al voto. Il governo Bersani è l’unico in grado di far partire la legislatura, giura Bersani, che ha eretto un muro contro le larghe intese. E infatti ieri proprio a Palazzo Madama, durante le repliche alle comunicazioni di Monti sugli esiti del Consiglio europeo, la leghista Erika Stefani ha concluso così: «Solo due parole che ha detto Angela Merkel: non sarebbe male se l’Italia avesse un governo». Si sbilancia anche Anna Finocchiaro: «Dare un governo al paese è la linea guida su cui si sta muovendo Bersani, che si sta rivolgendo anche a forze politiche che non appoggiano apertamente il governo a sua guida ma che sono attive nell’assumersi la responsabilità di non far precipitare il paese nella crisi. I numeri possono essere attivi. Ci possono essere forze politiche che danno il loro appoggio anche non apertamente».
Ma la possibilità si infrange su quel «non apertamente».

Napolitano, affidando il preincarico a Bersani, gli ha imposto di tornare da lui con «una maggioranza certa». Condizione discutibile, se non fosse che nel Pd Napolitano è pressoché indiscutibile. «Nel discorso di Napolitano di venerdì ci sono i paletti che dobbiamo rispettare», dice infatti Letta.

Quindi: o la Lega darà un segnale di disponibilità che Bersani possa riferire al Colle giovedì prossimo quando tornerà con l’esito delle consultazioni. O Napolitano, contrarissimo allo scioglimento delle camere, dovrà assumersi la responsabilità di incaricare un’altra personalità a caccia di larghe intese, che finirebbero per spaccare il Pd, zeppo di non bersaniani che aspettano solo un fallimento per professare apertamente l’accordo Pd-Pdl. Renzi lo ha già fatto. «Qualunque altro tentativo rispetto a quello di Bersani è peggiore per il paese e per il Pd», conclude Letta.

Oggi, quindi, la «prova del 9», (parola ancora di Letta), l’ultima chance di Bersani. Che nel frattempo fa di tutto per fluidificare la discussione con il Pdl, che in cambio di un atteggiamento «non impediente» chiede la nomina di un presidente della Repubblica «garante» anche delle destre. Bersani si sbraccia per negare trattative, «non mischiamo i due livelli», ma il ragionamento di Letta sul dialogo sulle istituzioni tiene aperta una porta: si parla di Giuliano Amato, che però non piace a mezzo Pd, ma comincia a circolare il nome di Guido Rossi, giurista e avvocato di pregio, attualmente garante etico della Consob. E resta sempre in campo la proroga di Napolitano, negata da Napolitano stesso, ma agli occhi di molti, anche nel Pdl, considerata una soluzione onorevole per tutti.

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