Nel giorno del suo sessantaduesimo compleanno, la segretaria dei Radicali italiani Rita Bernardini è al lavoro, come sempre. Inseparabile dal vecchio leader Marco Pannella col quale ha passato la notte della Vigilia e il giorno di Natale in visita nei carceri romani di Regina Coeli e di Rebibbia, “Ritina” (come la chiamano gli amici) ora si prepara a trascorrere il Capodanno tra i detenuti di Sollicciano, a Firenze, assieme al vicepresidente della Camera Roberto Giachetti.

Un calendario fittissimo, quello delle «festività in carcere» santificato dai militanti radicali e accompagnato dall’iniziativa nonviolenta del Satyagraha, a cui «hanno finora partecipato, con uno o più giorni di sciopero della fame, oltre 800 cittadini fra i quali 236 detenuti». Il condottiero assoluto è sempre lui, Marco Pannella, che dall’alto dei suoi 84 anni, due tumori e 60 sigari al giorno «si prepara a riprendere, tra pochi giorni – annuncia Bernardini – il digiuno totale e lo sciopero della sete». La richiesta è la stessa – da anni e in solitaria, sostenuta solo, a più riprese, dall’attuale inquilino del Quirinale, Giorgio Napolitano: «Amnistia e indulto. Per far uscire la Repubblica italiana dall’illegalità di una giustizia inefficace e di un sistema penale che continua a violare i diritti e la dignità delle persone, checché ne dica il Guardasigilli Andrea Orlando».

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Bernardini, il ministro di Giustizia ha annunciato l’uscita dall’«emergenza carcere». I dati che ha fornito appena prima di Natale mostrano un tasso di sovraffollamento minimo: 109,21%, a fronte del 162,52% di giugno 2010 e del 123,60% di soli sei mesi fa. Allora, qual è il problema?

L’ho già detto al ministro: un discorso serio si può fare su basi di lealtà. Altrimenti si usa lo stesso trucco dell’acqua all’atrazina, resa potabile semplicemente innalzando i livelli di sostanza tollerata dal ministero della Salute. Se si vanno a spulciare le cifre pubblicate dallo stesso ministero di Giustizia, si vede che i posti realmente disponibili sono molti meno dei 49.494 dichiarati. Ci sono sezioni ancora non agibili perché da ristrutturare o perché manca il personale. Ma non solo: a Mamone, per esempio, in provincia di Nuoro, ci sono 392 posti disponibili e i detenuti sono 126. Lo stesso a Fossombrone, Ancona, e così via. Insomma, la media si abbassa con questi espedienti ma l’indice di sovraffollamento nella maggior parte dei casi è più alto di quello dichiarato. C’è poi un problema su come si calcolano i 3 metri quadri che ciascun detenuto deve avere a disposizione perché il posto sia considerato regolamentare: la Cassazione ha più volte ribadito che si deve calcolare la superficie calpestabile, al netto degli arredi.

Eppure, la Corte europea dei diritti umani ha respinto 3685 ricorsi presentati da detenuti che denunciavano condizioni di sovraffollamento.

I giudici di Strasburgo hanno motivato i rifiuti dicendo di non avere motivi di ritenere che la legge varata dall’Italia sui rimedi preventivi e risarcitori non sia effettiva. Non sono entrati nel merito, ma si sono fidati delle legge italiana che prevede sconti di pena e risarcimenti pecuniari per coloro che sono stati reclusi in celle troppo affollate. Però perfino il Coordinamento dei magistrati di sorveglianza in una lettera scritta a metà novembre al ministro Orlando ha denunciato l’impossibilità di dare giustizia a tutti coloro che hanno subito una detenzione inumana e degradante. Perché, spiegano i magistrati, le incertezze e le lacune del testo normativo creano complessità e farraginosità delle istruttorie, e gravi contrasti giurisprudenziali. Per esempio, alcuni uffici di sorveglianza hanno respinto i ricorsi con la motivazione che «il pregiudizio deve essere attuale». Ossia, non si potrebbe, secondo loro, chiedere un risarcimento per il sovraffollamento pregresso. La trafila del risarcimento interno, poi, è lunghissima: il detenuto ricorre al magistrato di sorveglianza, poi in caso di rifiuto si può rivolgere al tribunale di sorveglianza, infine in Cassazione. E solo allora potrà tornare a chiedere giustizia alla Corte europea dei diritti umani. Non solo: per avere gli 8 euro per ciascun giorno di sovraffollamento, bisogna invece seguire la strada della giustizia civile. Che come si sa è infinita.

Il ministro ha anche detto che «se i 18.219 ricorsi pendenti in Italia fossero stati proposti a Strasburgo, lo Stato avrebbe dovuto pagare altre multe per 203 milioni di euro». Non è un buon risultato?

Non capisco come faccia Orlando a dire di aver scongiurato il rischio, visto che il termine per presentare i ricorsi scade il 28 dicembre. Comunque è incredibile che si risparmi sulla pelle di chi ha subito un trattamento inumano da parte dello Stato. Voglio sperare che quei soldi risparmiati saranno utilizzati per ripristinare almeno la manutenzione ordinaria, attualmente inesistente. O per promuovere il lavoro, le attività trattamentali, o per evitare la detenzione a centinaia di chilometri dalle famiglie… O per il diritto alla salute. Perché, al di là delle buone intenzioni, nelle carceri italiane si muore ancora.