Nel 1920, a nove anni dalla morte di Mahler, per festeggiare un quarto di secolo passato alla direzione dell’orchestra del Concertgebouw, Willem Mengelberg fondò a Amsterdam un Festival dedicato al musicista austriaco in cui vennero eseguite, fra l’altro, tutte e nove le sue sinfonie: fu in questo contesto che crebbe Bernard Haitink, morto lo scorso 21 ottobre. Conobbe l’esperienza del silenzio imposto dai nazisti alla musica di un ebreo, dal 1941 a quando lasciarono l’Olanda. Lo stesso Mengelberg aveva acconsentito al divieto di eseguire musica di compositori ebrei, e fu considerato perciò un collaborazionista: nel 1945 fu sollevato dall’incarico e condannato a non dirigere più in Olanda. Haitink aveva allora sedici anni.

«Durante quel periodo – ebbe modo di dire nel corso di una intervista – divenne chiaro che i tedeschi volevano isolare la popolazione ebraica… Ricordo di essere andato a sentire un giovane violinista ebreo eseguire la Sonata a Kreutzer di Beethoven a casa sua. Ma poi, poco dopo, è scomparso. È ancora spaventoso pensarci. Forse non sarei mai stato un direttore d’orchestra se tutte queste catastrofi non fossero accadute. Sarebbero stati molti i musicisti che avevano più talento di me».

L’Olanda nei secoli ha avuto rapporti assai stretti con la cultura tedesca, la stessa lingua, il neerlandese, fa parte del gruppo linguistico tedesco. Inserito in una tradizione interpretativa con caratteristiche precise come quella tedesca, Haitink è stato tuttavia un interprete troppo originale per restare sigillato nell’etichetta di una tradizione. Se la ricerca di una rigida coerenza strutturale unita a una esibita magniloquenza sinfonica sembrano i caratteri distintivi della tradizione tedesca, Haintik è stato allora un eretico.

Era attratto, anzi, dalla finezza dei particolari, dalla seduzione del canto. Figlio di una grande tradizione polifonica, ha amato il gioco con cui si innestano le voci di un contrappunto pur restando voci singole; ma si può dare anche un contrappunto solo di timbri strumentali. La musica, allora, scorre fluida, limpida «nell’aria» sotto le dita, come Haitink diceva. È anzi proprio questa limpidezza capace di far percepire tutte le linee del canto, sia strumentale sia vocale, sia entrambe insieme, a costituire la cifra distintiva della sua interpretazione musicale. Mahler è un terreno privilegiato per condurre alle estreme conseguenze l’esperienza del contrappunto: Haitink ne aveva colto il nucleo fondamentale, quello di una disgregazione dell’orchestra sinfonica tedesca.

Il contrappunto è, infatti, anche contrappunto di gruppi strumentali, di sezioni separate dell’orchestra, e l’orchestra di Mahler sembra combinare insieme orchestre diverse e contrastanti. I direttori d’orchestra che tengono principalmente all’effetto accattivante del suono orchestrale armonioso tendono a ammorbidire l’impatto dissonante, quasi temendo un giudizio di inesperienza. Non Haitink, abile proprio a fare risaltare i contrasti, le disgregazioni, gli urti cacofonici, senza perdere mai il filo del discorso. Assai più virtuosistico di tanti vantati prodigi di virtuosismo orchestrale, Haitink sa che il punto non sta nel ricercare effetti immediati, bensì nel fare ascoltare proprio in quell’insieme di contrasti l’armonia superiore, che a un orecchio non musicale può apparire come disarmonia