Marciavano divisi per colpire uniti e il momento di colpire è arrivato, o meglio arriverà tra due settimane se i ballottaggi confermeranno la tendenza netta al primo turno, quella che vede il centrodestra vincente persino nelle roccaforti del centrosinistra come Genova e La Spezia. Salvini l’aveva gridato già nella notte del voto: «Lista unica e maggioritario». Anche l’unico leader leghista non allineato, Roberto Maroni, gli dà man forte: «Bisogna proporsi come una coalizione capace di governare e di risolvere i problemi. Il modello Lombardia è questo».

Dentro Forza Italia i toni sono diversi ma l’obiettivo è identico. Toti, rinsaldato dalla sin qui ottima riuscita dell’operazione ligure, lancia il cuore e anche di più al di là degli ostacoli: «Il mio sogno è il partito unico. Se è prematuro troviamo almeno regole che ci permettano di correre come federazione o lista unica». Daniela Santanchè indica la stessa direzione: «Non è vero che le coalizioni sono superate. Non c’è centrodestra senza Berlusconi come non c’è senza Salvini». Dall’esterno del partito azzurro Giorgia Meloni, con i piedi per terra, smorza gli ardori di Toti: «E’ un po’ presto per parlare di partito unico quando non siamo ancora in grado di fare neppure una coalizione». Ma almeno la coalizione blindata la vuole pure lei, come la vuole Fitto, uno dei tanti ex luogotenenti fuoriusciti dall’esercito di Arcore ma tornati di corsa in area protetta.

A queste pressioni, che diventeranno sempre più forti via via che le elezioni si avvicineranno, Berlusconi non ha intenzione di cedere. Ma l’uomo non è privo di senso della realtà, su un solo punto è davvero tassativo: mai e poi mai Fi appoggerà una legge elettorale maggioritaria come insiste nel chiedere Salvini. Per Arcore sarebbe una rotta. Il no alla lista unica è meno fermo. Berlusconi sa che se alle elezioni si arriverà con il Consultellum quella sofferta scelta potrebbe essere inevitabile. Dunque incarica Brunetta di comunicare che «non ci sono le condizioni per una lista unitaria ma ci si può arrivare per gradi, con il modello tedesco».

Sulla legge elettorale Berlusconi non si è ancora dato per vinto. Spera di poter rilanciare, quando la commissione Affari costituzionali della Camera tornerà a riunirsi, dopo i ballottaggi, il sistema affondato in aula. Quello sì che risolverebbe tutto: niente più diatribe sulla leadership, sulla trazione azzurra o verde-padano, sulla detestata lista unica. Niente più formule che legherebbero le mani a un Berlusconi che invece, nella prossima legislatura,le vuole libere.
Re Silvio ci spera. La diplomazia di Arcore lavora. Ma l’obiettivo somiglia a un miraggio: i 5S si sono chiamati fuori con tanto di autocritica, Renzi dovrebbe vedersela con una parte assai potente del suo stesso mondo, dentro e fuori il Pd, i parlamentari sono pronti a fucilare qualunque cosa implichi il voto prima della scadenza naturale della legislatura. Silvio ci prova, ma sa di avere in mano pochissime carte.

Dunque medita, senza averla ancora davvero decisa, su una classica «mossa del cavallo» che potrebbe, se non cancellare, almeno ridurre l’impatto dei problemi: rilanciare in pompa magna la sfida presidenzialista in vista della prossima legislatura. E’ un tema che Berlusconi non ha mai abbandonato: in questa legislatura Fi ha riproposto il semipresidenzialismo e lo stesso leader ha più volte affermato che il prossimo Parlamento dovrà essere «costituente». Ora però si tratterebbe di affidare ufficialmente questa missione alla prossima legislatura ricercando consensi trasversali. In questo modo la sfida per il governo uscirebbe automaticamente ridimensionata, trattandosi anche esplicitamente di una legislatura-ponte. Le stesse coalizioni perderebbero buona parte del loro significato, dovendo ciascuno portare nel Parlamento-assemblea costituente le proprie specificità. Infine, ma non è certo l’elemento meno importante, in una legislatura del genere non ci sarebbe nulla di abnorme in un governo Pd-Fi.