Il discorso del vincitore, affidato in omaggio ai tempi a Fb però tramite video perché le radici sono sempre quelle, è forse il più sobrio che Berlusconi abbia mai partorito: «La vittoria di Musumeci è la vittoria dei moderati, dei cittadini che credono nella possibilità di un futuro migliore. La Sicilia era di fronte a un bivio: la nostra rivoluzione positiva o la rabbia inconcludente dei 5 Stelle. Il grande risultato di Forza Italia significa che la Sicilia ha scelto la rivoluzione liberale». Poi il passaggio che mette la corona, pardon il cappello, sulla vittoria: «Grazie dal profondo del cuore agli elettori siciliani per aver accolto il mio appello».

Sono accenti sensibilmente diversi da quelli trionfali che adoperano i suoi ufficiali, anche se nel prosieguo il Redivivo si dice certissimo che la vittoria siciliana si ripeterà in tutta la nazione, sconfiggendo «il ribellismo, il pauperismo, il giustizialismo» dell’M5S. Gente «che non ha mai amministrato neppure un condominio, che non ha mai lavorato». Solo quando parla del Movimento di Grillo il leader azzurro mette da parte la maschera compassata per ritrovare i toni truculenti dei tempi andati. E’ un segnale preciso.

Re Silvio, insomma, festeggia ma fino a un certo punto, e il fatto strano è che invece, almeno a prima vista, avrebbe tutte le ragioni per brindare a bollicine: lo stacco di Musumeci, che ancora in mattinata pareva minimo, si profila invece sensibile. I tempi da lumaca dello spoglio non permettevano ancora ieri sera un conteggio completo, ma a traguardo quasi tagliato Musumeci, al 40%, prevaleva su Cancellieri di oltre 5 punti. Anche il rapporto di forze interno al centrodestra appare consolante per Arcore: i leghisti in tandem con FdI hanno superato il fatidico 5% ma di misura, mentre il partito azzurro veleggia oltre il 16%. Certo, i numeri non sono né potrebbero più essere quelli del 1994 ma è un successo che permette al Grande Propagandista di accreditare al proprio intervento diretto l’alloro. E infatti i suoi lo ripetono in coro: «A fare la differenza è stato Berlusconi», «E’ il protagonista indiscusso», «l’unico che fa vincere il centrodestra», e via inneggiando. Per un leader che quattro anni fa era condannato, impegnato a redimersi prestando servizio sociale e col partito ridotto a un colabrodo non c’è male.

Ciliegina sulla torta la débacle senza appello di Angelino Alfano, che con Ap neppure supera il 5%. «Non abbiamo i risultati sperati ma non abbiamo rimpianti perché era la scelta giusta», commenta l’Asfaltato. Qualcosa deve pur dire. Ma la soddisfazione non è solo morale: le aree centriste sparse nel Paese già pendevano verso il ritorno all’ovile. Dopo la disfatta siciliana alla corte di re Silvio ci sarà la ressa.

Perché allora il Risorto non si gode appieno il trionfo? Perché il presidente che ha fatto eleggere si chiama Nello Musumeci ed è un Fratello d’Italia, un “estremista”, uno che, nella conta interna al centrodestra, pesa più a favore della controparte che da quella di Arcore. La faccenda è materiale, non riguarda gli alti ideali. Quel marchio “estremista” peserà al tavolo delle candidature. Giorgia Meloni, forte anche del ballottaggio a Ostia, non perde tempo nel farlo pesare: «Il patto dell’arancino ha funzionato benissimo. Qualcuno dovrebbe ringraziarci». Salvini, consapevole del risultato non brillantissimo, è molto più sotto tono, tanto più che il doppio successo di Meloni non piace molto neppure a lui, essendo i rapporti tra le due componenti radicali della nuova destra tutt’altro che sereni. Si limita a un parco «Il dato certo è: Renzi e Alfano a casa».

Ma c’è una seconda ombra sul gran giorno dell’ex Cavaliere. Nel suo schema il confronto doveva essere con Renzi, non con Grillo. Un po’ perché la sfida con M5S è molto più rischiosa. Ma ancora di più perché l’alleanza post-elettorale con un Pd rivale diretto sarebbe una grande coalizione. Quella con lo stesso Pd ridotto a terza forza sarebbe un tipico “inciucio”, i cui dividendi finirebbero per essere tutti incassati dall’odiato ex comico.