Berlusconi la ha fatta cadere come se niente fosse, invece è qualcosa e forse più: la prima apertura di Arcore a quella legge elettorale maggioritaria che reclamano i suoi alleati e anche l’ala di Fi uscita rinvigorita dal voto di domenica scorsa: «Se si va al maggioritario si deve fare la lista unica e c’è chi non la vuole pur volendo il maggioritario. A meno che non ci sia un premio di coalizione che però è escluso da parte del Pd».
Un po’ quella dell’ex Cavaliere è una manovra studiata per sgusciare via dall’assedio di Salvini e Toti, dimostrando che a rendere impraticabile la strada che indicano è il rifiuto della lista unitaria, proprio da parte dei leghisti, e quello del premio di coalizione, da parte di Renzi. Ma un po’ è anche il segno che il leader azzurro ha fiutato al volo il cambiamento di tendenza.
La guerra in corso nel Pd e nell’area limitrofa, anche se nessuno lo ammette apertamente, ha una sola posta in gioco: la legge elettorale maggioritaria. È per ottenere quella che Dario Franceschini, dopo aver coperto Renzi per mesi, persino dopo la mazzata del 4 dicembre, ha deciso di uscire allo scoperto, e ai suoi lo ha detto senza mezzi termini: «Non possiamo permettere che si rinunci a modificare la legge elettorale». È in nome di quella legge maggioritaria che Walter Veltroni, dopo aver fatto per tre anni la parte del papà politico di Renzi, ha scoperto che il ragazzo di Rignano non è un erede ma un fedifrago.

La levata di scudi di Franceschini è stata una doccia fredda per i sogni di gloria di Berlusconi, che da settimane cercava di spingere uno spaventato e recalcitrante Renzi a rispolverare la legge proporzionale «alla tedesca».
La retromarcia della Lega, spostatasi senza mezze misure sul maggioritario, era già stato un duro colpo per quel miraggio. Il pronunciamento di Franceschini, che soprattutto al Senato controlla la maggior parte del gruppo parlamentare va molto vicino al de profundis. Nelle ultime settimane l’ex cavaliere si è dato da fare per conquistare i voti necessari nel formicaio impazzito di palazzo Madama. Ma anche se Renzi si convincesse e se Berlusconi riuscisse a raggranellare le truppe centriste necessarie per strappare la maggioranza, non si può escludere, a questo punto, che ad ammutinarsi sarebbero gli stessi senatori franceschiniani del Pd.
Non che Berlusconi si sia convertito come auspicava e profetizzava Giovanni Toti subito dopo la vittoria elettorale. Continua a preferire di gran lunga qualsiasi modello proporzionale, inclusa la zoppicante legge che sarebbe in vigore se si votasse oggi, il Consultellum. Non ha perso le speranze di conquistare il sistema tedesco, l’unico che gli lascerebbe la libertà piena di movimento a cui aspira. Probabilmente intravede però lo stesso spettro che turba i sonni del Nazareno in queste ore: quella di una ribellione dei parlamentari franceschinani e di una loro convergenza sul maggioritario e sul premio di coalizione. Così, a ogni buon conto, inizia a mettere le mani avanti.