Se non ci fosse almeno uno svarione, l’ex cavaliere non sarebbe più se stesso. Invece arriva puntuale, a confermare che se il potere non è più quello di una volta, il carattere non è cambiato: «Putin? Un vero democratico rispettoso degli altri, mica un comunista». È uno dei pochi guizzi che il non più onnipotente, intervistato dal vivo da Nicola Porro, concede al pubblico plaudente di Atreju, la festa dei Fratelli d’Italia. Vestito di nero, palesemente invecchiato, tanto che l’intervistatore deve spesso ripetere due volte la domanda, Berlusconi non ha perso né il gusto per il paradosso, come l’elogio di Putin attesta, né quello per le battute a effetto: «Quelli che se ne vanno da Fi? Deo Gratias! Finalmente i mestieranti senza passione sono scesi».
Non ha perso neppure la fiducia in se stesso. «Le primarie sono plausibili se non c’è un leader carismatico ma solo secondo file». Inutile specificare chi sia l’unto dal carisma destinato a guidare il centrodestra. Stesso candidato e anche stessa formula del ventennio scorso. L’uomo che è stato insieme la salvezza e la rovina della moderna destra italiana non lo dice apertamente, ma il senso delle sue affermazioni è inequivocabile. Salvini è «molto utile»: «Chapeau per come sa parlare alla gente». Nel miraggio di Silvio il re deposto c’è l’alleanza con il nuovo Carroccio, e naturalmente, come cortesia impone, con gli ospiti Fdi: «Insieme questi tre partiti hanno più voti del Pd». Nessuna allusione ai moderati dell’Ncd e affini. Quelli Berlusconi li dà giustamente per persi: una parte tornerà all’ovile, capitanata probabilmente dal sempre più scalpitante Quagliariello, un’altra cercherà salvezza raccogliendo le briciole di Renzi. Ma soprattutto il partito moderato c’è già, è Fi e attenzione: «Gli italiani sono moderati». Chi sbraita troppo non li può convincere.

In soldoni: un’alleanza di ferro con la Lega, ma a trazione moderata, cioè azzurra, e con l’eterno mattatore a fare da leader e candidato. Non è neppure un ritorno ai primi anni 2000 ma addirittura ai fasti del 1994, all’alleanza privilegiata con una An forte ma condannata comunque al secondo piano. Nel nuovo quadro politico Silvio Berlusconi non ha idea di come muoversi: non può fare altro che guardare al passato. Il bello è che quel disegno avrebbe potuto persino funzionare se il capo, a suo tempo, non si fosse fatto vincere dall’infatuazione per Renzi e avesse dato retta ai molti, Verdini in testa, che gli suggerivano di non accettare una legge elettorale col premio di maggioranza assegnato alla lista invece che alla coalizione. Con quell’errore l’intramontabile si è ficcato in un vicolo cieco. «Le riforme – attacca dimenticando di averle scritte – sono un pasticcio pericoloso e che può portare a una pericolosa deriva autoritaria». Soprattutto perché ci sarà una camera sola tutta in mano a chi agguanta il premio di maggioranza, prosegue, come se quella legge elettorale non fosse passata con i suoi voti.
È evidente che Berlusconi spera in qualche modo di poter modificare il sistema elettorale che quasi certamente lo condannerà a non arrivare neppure allo spareggio. Non è il solo. Il medesimo miraggio anima Bersani ed è inseguito dall’Ncd, qualcuno sperandoci sul serio, qualcuno, segnatamente Alfano, solo per rinviare lo showdown. Ma senza quel sogno, che certamente non si avvererà, Silvio Berlusconi, arrivato quasi al capolinea, un’idea di come muoversi per evitare la rotta in tutta evidenza non ce l’ha.