Come il gorilla di Brassens e De Andrè, davvero Silvio Berlusconi non brilla né per lo spirito, né per il gusto. Nello stillicidio delle anticipazioni dell’ultimo libro di Bruno Vespa, a una domanda sulla volontà o meno dei figli di vendere tutto e andarsene dall’Italia, il settantasettenne patriarca ha risposto così: “I miei figli dicono di sentirsi come dovevano sentirsi le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler. Abbiamo davvero tutti addosso…”.

Vista la natura della “dichiarazione”, le agenzie di stampa, i siti web, radio e tv ne danno risalto. Ricordando i non certo lusinghieri precedenti, offrendo una replica ai diretti interessati, e raccogliendo i commenti di politici di ogni orientamento. Fra i primi, il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, fa due osservazioni elementari. “Si tratta di un paragone non soltanto inappropriato e incomprensibile – rileva – ma anche offensivo della memoria di chi fu privato di ogni diritto e, dopo atroci e indicibili sofferenze, della vita stessa”. Poi, a seguire: “L’Italia repubblicana è un paese democratico. La Germania nazista era una spietata dittatura, governata da criminali che teorizzavano e commettevano i più gravi delitti contro l’umanità”. Compreso il genocidio di sei milioni di ebrei.

Anche Riccardo Pacifici si dice “basito” dalle parole di Berlusconi. E gli ricorda: “Non era questione di idee politiche, andavano a morire tutti, bambini compresi. Non c’erano processi o appelli”. Poi osserva: “Credo che Berlusconi non debba le scuse agli ebrei ma a se stesso” E infine chiosa: “Sarebbe più interessante sentire cosa ne pensano i figli”. I quali, ufficialmente, non si fanno sentire.

Invece intervengono alcuni esponenti del Pdl. Fra questi c’è Renato Brunetta: “Stabilire un paragone tra il dolore dei propri figli e la persecuzione degli ebrei, dimostra il sentimento di condivisione che anima il presidente Berlusconi nei confronti di questo popolo”. Poi Daniele Capezzone: “Mi pare doloroso e spiacevole che la sinistra cerchi una speculazione politica”. Infine Alessandro Sallusti: “In quella frase c’è il riconoscimento di una persecuzione, c’è il riconoscimento della Shoah. Spero ci siano ebrei di buon senso, altrimenti è uno stato etico dove non si può dire più niente. Se uno offende è un conto, ma questo è un paragone, come quando diciamo ‘mi hanno messo in croce’. E’ un modo di dire”. Invece fra i non Pdl la dem Donatella Ferranti osserva: “Che i figli, parlando con il padre, si paragonino agli ebrei perseguitati dal nazismo, è aspetto che attiene al privato. Ma che Berlusconi lo renda addirittura noto, avallando così il parallelo, è vergognoso”.

Alla fine Berlusconi si convince a intervenire. Così: “C’è una polemica smaccatamente strumentale su una frase estrapolata da un ampio contesto. La mia storia, la mia amicizia verso Israele, la mia coerente azione di governo in suo favore, non consentono alcun dubbio sulla mia consapevolezza della tragedia dell’Olocausto e sul mio rispetto del popolo ebraico”. Non del popolo italiano.