A palazzo Chigi il dopo Marino è cominciato, e la situazione è troppo difficile per godersi la vittoria sul sindaco ribelle. Si può anche perdere, argomenta con i suoi Renzi, ma al ballottaggio bisogna arrivarci: un Pd che nemmeno compete per la guida della Capitale sarebbe troppo.

Fino a venerdì notte, i vertici renziani hanno carezzato un sogno proibito e inconfessabile. Visto che “Arfio” Marchini è in campo, tutti lo danno per favorito e ha un già accordo, ormai neppure più segreto, con Berlusconi, perché non lavorare a una larga intesa in versione giallorossa? In quel miraggio, Marchini si sarebbe dovuto presentare con il sostegno aperto del Pd e quello di Fi camuffato da lista civica, tagliando fuori la troppo riconoscibile area Fdi, in concreto con Sel all’opposizione da sinistra e la Meloni da destra.

La trovata ad “Arfio” non dispiaceva. Gli avrebbe garantito il ballottaggio e avvicinato di molto la vittoria sulla sola concorrenza davvero temibile, quella M5S. Peccato che fossero conti fatti senza consultare l’oste di Arcore.

Se giovedì sera, alla festa per i 40 anni della figliola prodiga Nunzia Di Girolamo, l’ex cavaliere ha spiattellato di fronte a tutti i giornalisti quell’accordo con Marchini che avrebbe dovuto restare ancora segreto, non è perché avesse esagerato con le bevande ma per bloccare l’operazione vagheggiata tanto dal Pd quanto dal candidatissimo. Anche a costo di rischiare una frizione seria con Giorgia Meloni, tutt’altro che felice di essere messa da parte nonostante l’impegno del capo azzurro a puntare su di lei alle regionali: «Non siamo disponibili a sostenere Marchini, che ha partecipato alle primarie del Pd. Se Fi vuole sostenerlo, auguri».
A Roma Fdi è il primo partito del centrodestra, almeno stando ai sondaggi, dunque il semaforo rosso della Meloni non è un ostacolo trascurabile. Ma Berlusconiha deciso e difficilmente cambierà idea, anche perché nel suo quartier generale sono convinti che Giorgia la Romana finirà per accettare il candidato scelto da Arcore.

Il Pd, sfumata l’operazione Marchini-Partito della Nazione, è però di nuovo privo di candidato, e il rischio di non arrivare al ballottaggio è quindi concretissimo. Orfini, fresco di figuraccia tra le peggiori nella gestione dello spinoso caso Marino, sfodera un ottimismo e una sicurezza puramente d’ordinanza: «Un partito che si chiama Democratico non ha e non avrà mai paura del giudizio degli elettori. Sta a noi costruire un progetto vincente intorno a un’idea di cambiamento della città. Marino ha fatto cose buone e importanti che gli vanno riconosciute e il lavoro di questi mesi non si fermerà».

[do action=”quote” autore=”Matteo Orfini, il giorno dopo le dimissioni dei consiglieri Pd”]«Il Pd non ha paura del voto. Marino ha fatto cose buone e importanti che gli vanno riconosciute e il lavoro di questi mesi non si fermerà»[/do]

A parte il fatto che se a un sindaco si riconoscono risultati «buoni e e importanti» e si garantisce di voler proseguire il suo lavoro, non si capisce il benservito, le parole di Orfini delineano in realtà una strategia. Renzi ha deciso di puntare tutto sul Giubileo e sul dream team che dovrebbe gestirlo. Il governo, che sin qui non ha mosso un dito per assicurare condizioni ottimali per il Giubileo e anzi lo ha quasi sabotato rifiutando di stanziare un euro fino alla fine dell’estate, si impegnerà ora al massimo e non lesinerà soccorsi di ogni sorta.

Il successo dell’«anno santo», al momento atteso a Roma più o meno con la tranquillità con la quale a New Orleans aspettavano Katrina, dovrebbe costituire il trampolino di lancio per una candidatura legata a filo triplo alla «missione impossibile» del Giubileo riuscito. Insomma, la strategia dell’Expo milanese trasferita dalla Capitale morale a quella reale.

[do action=”citazione”]L’incognita però si chiama proprio Ignazio Marino.[/do]

Se l’ex sindaco darà vita a una sua lista civica raccoglierà i voti di molti elettori di centrosinistra scontenti di Renzi o anche solo del modo con cui l’ex sindaco è stato fatto fuori. Per Sel sarà molto difficile sottrarsi al richiamo di quella lista, dopo aver sostenuto Marino evitando le dimissioni dei suoi consiglieri nello showdown di venerdì scorso. Un risultato brillante del «marziano a Roma» sarebbe da tutti i punti di vista disastroso per il premier.

Se Renzi arriverà almeno al ballottaggio, sarà comunque soddisfatto. A quel punto, secondo ogni previsione, dovrà vedersela con i pentastellati, i quali, annuncia Vito Crimi, candideranno un nome nuovo. Dunque non sarà né una delle star del movimento, come Di Maio o Di Battista, e neppure un outsider come Imposimato. Una scelta che, a torto o a ragione, un po’ tutti interpretano nel mondo politico come segnale che l’M5S mira a ottenere un risultato eccezionale, intorno al 30%, ma non a vincere le elezioni, il che comporterebbe poi una sfida tanto gravosa quanto quella di risanare Roma in tempo per affrontare, senza un fallimento Capitale alle spalle, le elezioni politiche.