Durissimo. A ruota libera su tutto. Cancella di getto ogni illusione sull’«opposizione responsabile» il Silvio Berlusconi che si rivolge ai gruppi parlamentari, riuniti non alla camera o al senato ma nella nuova sede romana di Forza Italia. Perché lui, il capo umiliato e offeso, nel parlamento che lo ha cacciato non vuol più mettere piede se non nelle vesti del trionfatore. Magistratura democratica? Quella è la vera centrale golpista, organizzata sin dai tempi di Palmiro il Migliore per prendere il potere. Come le Br: altro che la P2, inoffensiva «accolita di illusi». La decadenza? «Un colpo di Stato di cui all’estero non sanno darsi ragione».

Dalla prima all’ultima parola, il cavaliere ruggente usa toni da campagna elettorale. Chiama alle armi le «sentinelle del voto», perché i brogli sono sempre dietro l’angolo. Suona la tromba per una «battaglia di libertà» che è sì prima di tutto contro i golpisti in toga, ma anche contro la casta, dalla quale i rivoluzionari azzurri devono tirarsi fuori il prima possibile. Se al comiziaccio del capo si somma l’atteggiamento che la resuscitata Forza Italia sta tenendo in parlamento, un’opposizione durissima, la conclusione si impone da sé. L’obiettivo è il voto, senza subordinate, senza mezzi toni, senza dialogo se non di facciata. Non a caso, dopo aver dato sfogo all’ira contro i carnefici in toga, Silvio il Piazzista offre un antipasto di quello che sarà il suo cavallo di battaglia di qui alle elezioni politiche. «Una cosa dobbiamo garantire: con noi non ci saranno ma patrimoniali».

Poche ore prima Enrico Letta si era rivolto direttamente ai forzisti con un accorato appello: «Chiedo a Fi di distinguere la scelta di non appoggiare il governo da quella di continuare un percorso di riforme istituzionali. Se non si fanno le riforme affonda tutto il Paese». La risposta arriva con il proclama elettorale del capo, ed è un pollice verso. Non ufficialmente, certo. I forzisti si trincereranno dietro la linea più ovvia: si diranno pronti a sostenere le riforme che li convincono ma non più impegnati a sostenere comunque una maggioranza della quale non fanno più parte e un governo che non vedono l’ora di abbattere. La stessa posizione illustrata a Napolitano nell’incontro della settimana scorsa al Quirinale.

Parole. Il Decaduto sa perfettamente che portare a termine la riscrittura della Carta in questa legislatura è un miraggio, fatto balenare solo perché ammettere l’impossibilità di fare le riforme significherebbe riconoscere che queste camere non hanno più ragion d’essere. Dunque non lo dirà apertamente, per non passare da sabotatore agli occhi dell’elettorato, ma i suoi provvederanno proprio a sabotare ogni velleità riformatrice. Non gli costerà grandi sforzi. Certo, nulla garantisce a Berlusconi di poter davvero strappare le urne in pochi mesi. Ma, se anche dovesse far passare quell’anno tondo che costituisce la massima speranza di vita per la legislatura, farà in modo che si riveli solo una lunghissima campagna elettorale senza esclusione di colpi, con il doppio obiettivo prima di mettere in ginocchio alle europee gli odiati traditori del «centrino» e poi di fare strike alle politiche. Con una candidata che può chiamarsi Marina o Barbara: purché di cognome faccia Berlusconi.

Di qui al momento fatale di un voto che Silvio Berlusconi interpreta come rivincita e vendetta, una sola cosa conta davvero: evitare una riforma elettorale che incrini il bipolarismo. La soluzione di gran lunga preferita è un Porcellum tutt’alpiù modificato con soglia minima del 35% per accedere al premio di maggioranza. Ma «se ci sarà il Mattarellum – avverte il cavaliere – potremmo andare da soli». Una minaccia per i potenziali alleati che finirebbero così esclusi dal parlamento e l’avvio di una possibile campagna sul voto utile. Ogni ipotesi proporzionalista, invece, va abbattuta senza pietà. Capita che su questo fronte gli interessi dell’attempato plutocrate e quelli dell’imberbe sindaco di Firenze siano identici.