«Le riforme non sono di Renzi: sono nostre da vent’anni, sin dalla nostra discesa in campo». Silvio Berlusconi mette puntigliosamente i puntini sulle i. Una cosa è allargarsi in riconoscimenti nei confronti di Matteo Renzi, tutt’altra regalargli la partita. Nella strategia del cavaliere, i due aspetti devono procedere di pari passo: rinsaldare il dialogo col nuovo segretario, perché grazie a quell’intesa è tornato in campo alla grande, ma anche prepararsi a sfidare l’amico» nelle prossime elezioni.

Alla maggioranza degli italiani la riforma elettorale piace: 52%, secondo gli ultimi sondaggi, percentuale destinata a salire se il percorso delle riforme procederà celermente, data la diffusa antipatia per i piccoli partiti. Ed ecco quindi che Berlusconi da un lato si sforza di mettere il suo marchio in calce al patto riformista, dall’altro conferma di aver trovato in Renzi «un interlocutore dopo vent’anni di insulti». Aggiungendo però un significativo: «Speriamo di non restare delusi anche stavolta».

Non sono parole spese a caso. Berlusconi sa perfettamente di aver buttato, grazie al patto con Renzi, una palla avvelenata nel campo del Pd. Se la riforma venisse bloccata dagli scontri interni a quel partito, la cosa tornerebbe tutta a suo vantaggio. Per questo sta bene attento a non permettere che sussista il pur minimo dubbio sulla sua volontà di raggiungere l’obiettivo, senza farsi frenare da problemi giudiziari di sorta e probabilmente nemmeno dall’eventuale presentazione di una legge sul conflitto di interessi.

Per il Pd il momento della verità si avvicina. Oggi dovrebbero riunirsi i componenti democratici della commissione Affari costituzionali della Camera. In quella sede, la minoranza è maggioranza: sarà lei a decidere sul vero punto chiave, le liste bloccate. Gli altri fronti critici della riforma sono in realtà a un passo dalla soluzione. La soglia di sbarramento verrà quasi certamente abbassata dal 5 al 4%. L’innalzamento di quella necessaria per accedere al premio di maggioranza dal 35 al 38% è fuori discussione ma nessuno si illudeva di poterla davvero ritoccare: significherebbe passare dal turno unico con ballottaggio al doppio turno conclamato, e questo per Berlusconi sarebbe del tutto inaccettabile.

Restano dunque due fronti effettivamente aperti, non a caso quelli su cui si appresta a presentare i propri emendamenti il Nuovo centro destra: il ritorno, magari solo parziale, delle preferenze e la non computabilità dei voti ottenuti dalle liste che non superano la soglia di sbarramento ai fini dell’attribuzione del premio di maggioranza. Nel disegno di Renzi e Berlusconi, infatti, se un partito coalizzato non supera la soglia non entra in parlamento, ma i suoi voti vengono contati lo stesso ai fini del raggiungimento del 35% necessario per incamerare il premio senza ballottaggio.