Oddio è adesso come si fa? La modifica della legge Severino, con tanto di restituzione al condannato di Arcore dell’«agibilità politica» era davvero una clausola segreta del patto del Nazareno, come clamorosamente rivela il diretto interessato dallo studio televisivo di Bruno Vespa, oppure no? Non lo sapremo mai. «C’era un accordo. Renzi ha tradito la parola data. È una cosa molto grave». Di solito quando Berlusconi le spara a questo modo si fa presto a derubricare l’affermazione a tipica balla silviesca. In fondo persino a lui, quando giura di «non aver mai detto una bugia agli italiani: a casa ho una copia della Bocca della Verità», quasi scappa da ridere. Ma se dall’altra parte c’è Matteo Renzi, che con la verità ha un rapporto ancor più lasco, indovinare chi mente è impossibile.
La replica arriva a strettissimo giro, affidata alla penna mai tanto velenosa di Lorenzo Guerini: «Berlusconi preoccupa, oltre a sbagliare piazze e infilarsi in quelle della Lega ora sbaglia anche i patti, non so se apposta o perché le cose cominciano a sfuggirgli». Poco ci manca che gli dia del senescente rimbambito, e una risposta tanto dura, persino per gli standard da mercato del pesce della politica italiana, qualche dubbio sul fatto che quella clausola potesse esserci davvero lo desta. Ma, appunto, con Renzi e Berlusconi indovinare chi la dice giusta è fuori discussione.
Peccato, perché quel segreto (forse) rivelato è una delle poche cose non prevedibili che Silvio Berlusconi si è lasciato sfuggire dalle nella serata ritorno. Ma in fondo che dica o no qualcosa di nuovo è secondario. La notizia è il fatto in sé, ed è lui stesso a segnalarlo subito, appena messo piede nella sala dove firmò a suo tempo l’increscioso «contratto con gli italiani»: «Erano due anni e mezzo che non venivo in tv». È quella l’agibilità che davvero gli è mancata, ed è certo che sia mancata anche ai suoi elettori, che solo per questo hanno preso a guardare da altre parti.

L’emozione gli gioca un brutto scherzo. Esordisce con una gaffe tanto vistosa che viene quasi da sospettare il trucco: «Nel centrodestra Matteo Renzi porterà la grinta…ooopppsss… Volevo dire Matteo Salvini. Si vede che è tanto tempo che non sto in tv». Non c’è inganno. È davvero un lapsus, però eloquente e indicativo. Infatti di lì a pochi minuti ecco che il paranoico che vedeva comunisti dietro ogni angolo, per la prima volta attacca un leader di centrosinistra perché non abbastanza rosso: «Renzi non è di sinistra. È un vecchio democristiano di giovane età. Ci copia ma lo fa male. Voteremo l’abolizione della tassa sulla casa ma non la legge di stabilità». Stavolta Silvio ha scelto di cambiare strategia comunicativa. Non chiama a raccolta i suoi avvertendoli che dall’altra parte c’è un comunista camuffato. Punta sul disgusto dell’elettorato di sinistra per un leader che di sinistra non ha più nulla: sa che è quello il punto debole del rivale. Certo, quando poco dopo accusa il suo ex delfino Alfano di aver già scelto di andare a sinistra, con Renzi appunto, la contraddizione stride, ma si sa che a questi particolari l’ex cavaliere non dà peso. Gli capita anche quando prima conferma che di un provvedimento di grazia non si è mai parlato, poi giura che non sosterrà mai il presidente Mattarella, il quale peraltro «finora non ha dato segnali incisivi», fino a che non gli restituirà proprio l’«agibilità politica».

Frecciate da copione, anche se non destituite di fondamento. Il piatto forte è il nuovo centrodestra: in fondo il grande piazzista è tornato in scena per smerciare il nuovo prodotto. La sua scelta ormai è fatta: chi spera che mollerà Salvini e la Meloni si illude. Ci sono due anni per decidere chi guiderà la coalizione, e se non si troverà la quadra a tavolino resterà «la soluzione finale: le primarie». Nessun rancore per i sondaggi che registrano il sorpasso: «Sono felice per la coalizione. Faremo l’accordo». E per non lasciare dubbi sul fatto che parli sul serio, rimuove senza esitazioni il minaccioso ostacolo romano. Già la sera precedente, con i coordinatori regionali azzurri, aveva chiarito: «Marchini va bene, ma solo se c’è l’accordo della Meloni».
Ovviamente il capo azzurro si preoccupa eccome della guida fascioleghista della lista comune. Per recuperare, punta su stesso: «Nel 2013 in 20 giorni ho recuperato due punti percentuali». Ma un po’ spera anche nelle liste civiche modello appunto Marchini. Vuole dalla sua parte Arfio e anche Diego Della Valle: «Ci ho parlato. Ci vedremo di nuovo. Non vuole fare un soggetto politico». Sprizza ottimismo Berlusconi, ma è la regola del gioco. Sa che la partita è difficilissima. Ma si può scommettere che anche stavolta la giocherà davvero.