Se sul tavolo ci fossero davvero solo le riforme istituzionali, a questo punto il no di Forza Italia sarebbe certo, e l’approvazione del ddl del governo sul Senato fortemente improbabile. La riunione dei senatori azzurri di ieri mattina non lascia spazio a dubbi. Romani ha aperto mettendo in campo senza mezzi termini la possibilità di far saltare il patto del Nazareno. Tra gli intervenuti, nessuno si è schierato a favore della riforma. Le posizioni sono diverse, ma riguardano solo l’ipotesi alternativa a quella del governo. C’è chi vorrebbe mantenere il bicameralismo, sia pure diversificando le «aree di competenza» delle due camere, e non sono pochi. Addirittura 33 senatori sarebbero pronti a sottoscrivere la proposta di Minzolini che va in quella direzione. La maggioranza invece insiste per il monocameralismo, e ieri Romani lo ha confermato a 22 ribelli del Pd che sondavano il terreno per verificare la possibilità di un soccorso azzurro al ddl Chiti. Ma sul fatto che, competenze a parte, il Senato debba restare elettivo, senza i 21 «nominati» dall’alto e senza i sindaci sono tutti d’accordo. Berlusconi in persona lo ha detto a chiare lettere: «Sarebbe la camera delle autonomie….rosse».
Il problema è che sul tappeto non c’è affatto solo la riforma istituzionale. Quella, anzi, è solo la parte più appariscente del pacchetto. E dunque, come capita ormai sempre quando Berlusconi deve prendere una decisione, regna la più totale incertezza.
La prima variabile, va da sé, è la decisione che prenderà il Tribunale di sorveglianza di Milano il 10 aprile.
La missione fallita di Berlusconi sul Colle non mirava, in realtà, a ottenere un rinvio della decisione per consentire all’ex cavaliere di fare la campagna elettorale europea. Quello, casomai, è l’obiettivo di Toti, per cui un risultato infausto segnerebbe la campana a morto. Per il condannato l’importante è che i magistrati di sorveglianza gli concedano i domiciliari, e nella versione più morbida, cioè limitato a un colloquio mensile con l’assistente sociale. Questo era il bersaglio sotteso alla richiesta di «agibilità politica» rivolta dal condannato al capo dello Stato.
Napolitano ha risposto picche, e non poteva fare altrimenti. Ma è ovvio che, se i magistrati milanesi concederanno spontaneamente i domiciliari all’acqua di rose, il gesto peserà sulle scelte dei senatori silvieschi. In caso contrario il peso sarà anche maggiore, ma in direzione opposta.
In secondo luogo, Berlusconi ha ben chiara la strategia di Renzi. Quando il premier avverte che qualora Fi si defilasse e la riforma passasse per un soffio si lascerebbe la parola al popolo sovrano via referendum, non parla solo di riforme e di senatori. Quel voto sarebbe un plebiscito tra il «cambiamento» incarnato dall’ex sindaco, e la «conservazione», rappresentata dall’uomo che ha dominato la politica italiana negli ultimi vent’anni. Il risultato sarebbe scontato in partenza, e sull’onda di quel successo Renzi non ripeterebbe l’errore di Mario Segni nel ’93. Correrebbe subito alle elezioni politiche, per incassare i dividendi della campagna «riformatrice».
Un quadro del genere per Silvio, l’eterno homo novus, è un incubo. Potrebbe evitarlo solo se la riforma Renzi non passasse neppure di stretta misura. Ma su questo il re deposto non può mettere la mano sul fuoco. È vero che tutti i suoi senatori si dicono contrari al Senato non elettivo, ma è anche vero che un certo numero di loro, almeno 14, è molto più interessato a evitare la fine della legislatura che a salvare il Senato elettivo. Sono gli stessi che hanno già salvato la legge sulle province disertando l’aula. Probabilmente farebbero lo stesso in caso di scontro frontale sulle riforme istituzionali.
Se si aggiungono le divisioni latenti che lacerano sottopelle il partito azzurro, e che quasi certamente esploderebbero in caso di showdown a palazzo Madama, si capisce bene perché Berlusconi una decisione finale non l’abbia presa né per ora possa prenderla. E perché, nella mano di poker che si sta giocando sulle riforme, la posizione di forza sia ancora quella di Matteo Renzi.