Ieri il governo delle larghe intese ha avuto la fiducia anche del senato, ma poco prima Berlusconi gliel’aveva già tolta. Parlando dell’Imu e della convenzione per le riforme, il cavaliere alleato ha espresso un pensiero semplice: o si fa come dico io o faccio cadere il governo. Prima ancora di cominciare a crederci, dunque, il presidente del Consiglio Letta può scambiarsi di posto con il vice presidente Alfano. Realizzerebbe oltretutto il desiderio che ha confessato in aula: sedere tra i ministri ma non come primo ministro. In effetti non sembra che lo lasceranno guidare.

L’illusione di un Berlusconi affidabile è durata così 24 ore. Si potevano risparmiare anche quelle evitando di resettare la memoria degli ultimi 20 anni. Il Pd, di fronte all’immediato sgretolarsi del suo piano B (o era il piano A?) ha reagito con quel riflesso di responsabilità che tanti insuccessi ha garantito. Ha richiamato i nuovi alleati alla nobiltà del compromesso. I nuovi alleati hanno risposto con la nobiltà, e la grazia, di un Brunetta o di un Gasparri. Immaginate.

Ci toccano le repliche del governo Monti, due mesi dopo. Il Pd a puntellare l’insostenibile e il Pdl ad ammonticchiare quotidiane macerie per scalare la sua rimonta elettorale, regalando il resto a Grillo. Non che gli strateghi democratici e quirinalizi siano così ingenui, anche in questo caso hanno un piano. Concepiscono le larghe intese come il purgatorio necessario per uscire dall’inferno del bipolarismo conflittuale (che pure non gli era sembrato tanto male, all’ora). Tentano ancora di costituzionalizzare Berlusconi, in questo caso adattando la Costituzione a Berlusconi. Che continua a illuderli, presentandosi adesso come il nipote di De Gaulle.

Dal bipolarismo conflittuale alla coalizione ricattatoria non c’è chi non veda il progresso. Ora il Pd può coerentemente dare al cavaliere alleato la guida della nuova bicamerale, evitando richieste peggiori. Tipo Lorenzin alla sanità, Quagliariello alle riforme o Lupi alle telecomunicazioni, non si sa mai.