Ottanta candeline, e a guardarla con la lente deformante del giornalismo politico dovrebbe trattarsi di una mesta ricorrenza. Silvio Berlusconi, l’uomo che ha segnato un ventennio come uno solo prima di lui nella storia patria, è ridotto al rango di comprimario. Il suo partito è in pezzi. Il piatto piange, gli stipendi latitano, i licenziamenti diluviano. La potente e improbabile coalizione che per due decenni si era tenuta insieme solo in virtù della sua presenza è polverizzata in una marea di frammenti impegnati in guerriglia permanente. Eppure chi lo ha incontrato in questi tempi grami lo racconta entusiasta e carico d’energia.

Sembra strano ma in fondo non lo è. La star incontrastata dell’aborrito “teatrino della politica” in realtà non era nata per la politica. Non ha mai imparato ad amarla. Non la ha mai davvero capita. Sognava di trasportare le dinamiche aziendali in un mondo che a quelle dinamiche è invece allergico. Immaginava di raccogliere luogotenenti e alleati in una specie di tavola rotonda cementata dalla comune adorazione per il capo, paghi solo di aumentare il fatturato in voti: il modello della sua Mediaset. Ma la politica è un’altra cosa. I leader, anche i più mediocri, non gradiscono il ruolo degli adoratori. Lo hanno mollato tutti, uno dopo l’altro, e lui, che è rimasto un impolitico nell’intimo, ha vissuto ogni abbandono come un lacerante tradimento, prova indelebile dell’umana ingratitudine. Lontano dal proscenio, l’uomo rifiata. Il suo tallone d’Achille è sempre stato uno smodato bisogno di piacere. Si è ritrovato invece nei panni per lui scomodissimi del più odiato da mezza Italia. Per apparente paradosso, gli attestati d’affetto inseguiti invano nei decenni del fulgore gli arrivano ora anche da parecchi nemici già giurati.
Conoscendone il carattere, re Silvio è probabilmente certo di avere di fronte almeno altri 16 decenni. Tuttavia l’occasione si presta almeno a un bilancio provvisorio e le voci in positivo, dal suo punto di vista, non sono poche. Ha legato il suo nome a una specie di rivoluzione copernicana. Prima di lui la politica era faccenda da professionisti: se arruolava dilettanti era a puro scopo di rappresentanza. Silvio è stato il primo dilettante a prendere le redini, e ha aperto la strada a una legione. Il Parlamento è stato invaso da magistrati, avvocati, giornalisti e imprenditori non prestati ma regalati alla politica. Tra i principali leader italiani oggi uno solo fa politica da sempre, e si sforza come può di nasconderlo. Quanto il fenomeno sia dilagato lo raccontano le presidenziali d’oltre oceano.

Berlusconi ha rovesciato come un guanto le regole e la cultura della politica. Più delle sue leggi, è questa l’eredità micidiale che il suo ventennio lascia. Senza neppure rendersene ben conto, è stato il primo demagogo ad affermarsi in politica non dicendo al popolo votante quel che il medesimo voleva sentirsi dire ma costruendo un elettorato a misura di quel che lui intendeva dirgli. Berlusconi ha creato il proprio elettorato.

È stato più uomo d’impresa o di partito? Né l’uno né l’altro.  È stato uomo di televisione, e ancora lo è. Televisione, sia ben chiaro, intesa essenzialmente come il più potente strumento mai esistito a disposizione dei piazzisti d’ogni genere. Per Berlusconi fare tv significa vendere, e non ha venduto solo programmi, pubblicità e un partito. Ha venduto una visione del mondo, facendosela pagare in voti sonanti.

La spiegazione dell’infatuazione per Renzi, breve ma esiziale, in fondo è tutta qui. Inutile andare a cercare assonanze politico-programmatiche che pure ci sono e nemmeno periferiche ma che in sé contano poco. Il ragazzo vantava doti più significative: era il solo che sembrasse aver capito l’importanza del medium, l’unico che poteva davvero figurare come l’erede politico che re Silvio, convinto di essere immortale, non ha mai cercato né realmente voluto e di cui ora, costretto al ruolo sempre attivo di regista ma non più di conduttore, avverte la mancanza. Come uomo politico di limiti ne aveva a mazzi. Come uomo di televisione uno solo ma che, approdato agli 80, si rivela esiziale: non è mai stato un talent-scout.