Ancora 24 ore di piroette: poi le due anime del Pdl dovranno ammettere l’impossibilità di proseguire insieme. I “governisti” si riuniranno di nuovo oggi alle 13, ufficialmente per prendere atto della risposta di Berlusconi all’ultimatum postogli da Alfano nel lungo incontro di mercoledì notte. In realtà il solo vero punto all’odg è se partecipare o meno alla riunione del consiglio nazionale di domani mattina. Salvo sempre possibili sorprese, decideranno di non farlo.

A riprova del caos che regna, Roberto Formigoni dichiarava ieri sera di attendere una risposta alla richiesta di rinviare il Cn, solo per essere smentito a strettissimo giro dal compagno di corrente Quagliariello. Il rinvio, in effetti, non faceva parte del pacchetto di richieste avanzate da Angelino il Duro: sostegno al governo indipendentemente dalla decadenza del capo; nomina di due coordinatori, uno per corrente, entrambi con potere di veto su nomine e candidature.

Proposte ultimative irricevibili per i falchi. Se Berlusconi le accettasse, sarebbero loro a imbizzarirsi, e lo dicono anche al caro leader. «Per fare la pace con un pezzo piccolo – spiega brusco uno di loro – Berlusconi romperebbe con tre quarti del partito». Sembra il solito copione. Invece c’è una differenza sensibile: ieri il cuore esulcerato di re Silvio è sembrato battere più per gli sleali governisti che per i suoi lealisti. Nella notte non aveva chiuso le porte al diktat dell’ex delfino. Si era spinto sino a promettere di siglare l’accordo che avrebbe segnato sia la sua resa che la rotta dei falchii. Alfano non si è fidato. Ha chiesto la prova d’amore: convocazione dell’ufficio politico al quale proporre un nuovo documento, ben diverso da quello votato dalla riunione precedente, disertata dalle colombe. Berlusconi, a sorpresa, non ha detto no. Ha preso tempo per saggiare quanto violenta sarebbe stata la reazione degli sconfitti, che gli hanno confermato la chiusura totale. Niente ufficio politico, la rottura sembra di nuovo cosa fatta. Ma non è detto che di qui a domattina il Berlusconi colombizzato non tenti di nuovo l’offensiva ’unitaria’.

Sono due le ragioni che spiegano l’improvviso ammorbidimento del leader furioso. Il primo è la promessa di un nuovo rinvio del voto sulla decadenza. I lavori della commissione bilancio del senato sulla manovra procedono a rilento, e certo non è per coincidenza. In queste condizioni rispettare la scadenza del 27 novembre a legge di stabilità approvata non sarà possibile. Dicembre dunque, e a quel punto Alfano fa balenare la possibilità di ulteriori giochi di prestigio, in attesa che qualche fatto nuovo, proveniente dalla Corte costituzionale o da quella europea, schiuda la possibilità di un nuovo rinvio. Il miraggio manda Berlusconi in sollucchero. Ma i duri lo disilludono. Gli ripetono di non addentare l’esca. Il segretario del Pd Epifani conferma: «Nessun rinvio». Il secondo dato che spinge il cavaliere verso la mitezza è la situazione del titolo Mediaset: precipita ogni volta che occorre forzare la mano al proprietario.

Così il gioco si ripete, ma a parti rovesciate. Con i duri che minacciano un loro documento, ventilano la rottura, inviano in serata il capocorrente Fitto (proprio mentre i governativi danno il via alla quotidiana assemblea di corrente) affinché spieghi a quattr’occhi che l’accordo di Alfano è fuori discussione. In effetti, in queste condizioni, quell’accordo Berlusconi non può accettarlo. A conti fatti, la sola via d’uscita, almeno per un po’, sarebbe il rinvio. E forse si spiega così la bizzarra uscita di Formigoni: il suggerimento di un’ultima ed estrema possibilità di rinviare la scissione.