Mentre a destra sono in molti a sgomitare per accreditarsi il titolo improvvisamente ambitissimo di Trump italiano, proprio il leader che al Don più somiglia, Silvio Berlusconi, sceglie la via opposta. Compassata e sobria. Aspetta che arrivi la sera per diramare la sua nota: «Sono sempre stato e sarò sempre il più leale alleato degli Usa in Europa. Di fronte alle sfide del XXI secolo la grande democrazia americana costituisce un punto di riferimento fondamentale per tutti gli uomini e i Paesi liberi». Quindi si dice convinto che l’eletto «potrà garantire con autorevolezza ed equilibrio il difficile ruolo degli Usa come Paese-guida del mondo libero».

Toni ben diversi da quelli da stadio di Salvini, che si candida al ruolo di apostolo numero 1 del Don in Italia: «L’elezione di Trump è come la caduta del Muro di Berlino. Ora tocca a noi. Il suo programma è quello della Lega». Il padano promette «fuochi artificiali» nel suo intervento alla manifestazione nazionale di Firenze, sabato: «Ci vuole un contenitore, un soggetto politico. Io faccio da coach». Del soggetto farà certamente parte il governatore ed ex pupillo di Berlusconi Toti: «Abbiamo un progetto con Maroni e Zaia che sta funzionando. Trump insegna che bisogna fare i conti con immigrazione, case popolari, economia che non riparte». Ma nel mirino di Toti ci sono soprattutto il suo ex padrino e il da lui prescelto Stefano Parisi: «Oggi non c’è più nessun leader che abbia la forza di proporre se stesso o di nominare qualcun altro, neppure Berlusconi. E’ caduto il Muro della Casa bianca. Deve cadere anche qui».

Ma se questi sono i toni sfegatati della destra, perché proprio Berlusconi, che sta a Trump come il Battista a Gesù Cristo, fa il discreto? In parte perché a differenza del leghista aveva scelto una posizione equidistante. All’inizio era convinto che la vittoria di Clinton fosse certa, però si era ricreduto dopo aver toccato con mano la realtà americana durante il suo soggiorno medico. Tornato in patria aveva riunito i fedelissimi spiegando che Trump avrebbe vinto, ma ormai era tardi per mollare Hillary. In secondo luogo, non ha alcuna intenzione di accettare le regole del gioco comiziante per sfidare Salvini sul terreno preferito dal leghista. Ma soprattutto Berlusconi sa che da ieri non c’è più Trump il candidato ruspante ma c’è il presidente Trump. Al quale si propone non come tifoso locale o vassallo ma come alleato: nessuno meglio di lui può fare da ponte tra la Casa Bianca e il Cremlino e della faccenda Silvio avrebbe già discusso in via informale con l’amico Vladimir. Ma Berlusconi ritiene anche che la vittoria di Trump sia un punto a vantaggio del No e si prepara a scendere in campo. A lungo ha tenuto la squadra lontana dalla ribalta. Da qualche giorno ha dato l’ordine di apparire in tv quanto più spesso possibile. Ma nelle ultime due settimane sarà lui a prendere il posto occupato oggi dai suoi ufficiali. Gli spazi televisivi sarebbero già stati fissati.