Berlusconi alle elezioni in primavera ci crede ancora. Lo scrive in una lettera ai parlamentari forzisti, ma lo ripete anche in privato: «State pronti». Conta sul fronte di fatto esistente con alleati potenti: Matteo Renzi e Beppe Grillo.
Nel corso dell’ultima riunione con i vertici del suo partito ha alluso molto chiaramente alla necessità di prendere contatti col sindaco di Firenze dopo l’8 dicembre, quando sarà segretario del Pd. Di Grillo non ha parlato. Persino lui sa che col tribuno l’incontro può realizzarsi nei fatti, ma senza intese né ufficiali né ufficiose. Ci penserà in compenso Renzi. I suoi fedelissimi, dopo la doccia fredda della sentenza che allontana di molto le elezioni, ripetono infatti che bisognerà «bussare alla porta di Grillo».
Il paesaggio politico, dopo il terremoto provocato dalla Cassazione, vede due fronti contrapposti. Nel primo ci sono i tre leader di cui sopra, decisi a varare il più rapidamente possibile il mattarellum per poter votare in primavera. Dall’altro tutti quelli che vogliono rinviare lo scioglimento delle camere quanto più possibile e affondare il mattarellum per approdare in autunno o al doppio turno di collegio o, preferibilmente, a un proporzionale con alta soglia di sbarramento.
Sulla carta non dovrebbe esserci partita. I tre strani soci guidano, o guideranno presto, i partiti di gran lunga maggiori. La realtà è molto diversa, perché a premere per la dilazione c’è il governo, con Napolitano alle spalle, c’è una sentenza che a offerto lun aiuto prezioso al rinvio c’è il dissenso di una parte del Pd e c’è, soprattutto, la resistenza dei gruppi parlamentari, per i quli ogni giorno in più passato in Parlamento è un giorno guadagnato.
La prima linea dello scontro è senza dubbio il braccio di ferro istituzionale tra Camera e Senato. Se la legge si sposta a Montecitorio, il partito del voto può ancora farcela. Se resta al Senato ha già perso. La decisione dovranno prenderla i presidenti delle camere, concordando tra loro il calendario. Ma lo faranno sotto pressioni fortissime, a partire dal ricatto esplicito di Alfano per cui rinviare il voto è questione di vita o di morte e che dunque è disposto a tutto pur di evitare che la legge passi nelle mani celeri dei deputati.
Si deve aggiungere la pressione fortissima del governo. Nei colloqui di ieri con il presidente della Repubblica, Letta ha ribadito la sua assoluta contrarietà alla trasmigrazione della legge elettorale. Su consiglio del presidente ha deciso di definire «un obbligo» il varo della legge. Ma senza fretta
La sola arma di cui i tre leader favorevoli alle elezioni dispongono è una pressione fortissima dal basso. A questo serve la campgna di delegittimazione dei deputati non ancora convalidati lanciata da Fi e del M5S, che si accingerebbe a pubblicare le loro foto, tra le quali spiccherà quella di Laura Boldrini. A questo servono gli attacchi al Colle. Ieri Berlusconi ha scritto che al disegno golpista «non sono estranei i più alti organi di garanzia delle nostre istituziioni». E per la prima volta un forzista di spicco, Augusto Minzolini, afferma che potrebbe votare l’impeachment. Con Grillo.