Silvio Berlusconi e Valter Lavitola sono stati condannati ieri a 3 anni per corruzione dal Tribunale di Napoli per la compravendita di senatori che portò alla caduta del governo Prodi nel 2008. Secondo il pm Fabrizio Vanorio, la sentenza «farà giurisprudenza perché è il primo caso in cui si affronta il tema della corruzione parlamentare» anche se il processo andrà prescritto il 6 novembre. In udienza nei mesi scorsi è stato ascoltato anche Prodi: «C’erano voci, ma, come dissi al giudice, non ne sapevo nulla. Se lo avessi saputo sarei ancora presidente del Consiglio».

Duro il pm Henry John Woodcock: «Siamo di fronte, in fondo, a un banale contratto illecito, una questione di vile pecunia, di scambio, di baratto tra soldi e tutto ciò che rientra nella funzione parlamentare. I motivi politici rimangono sullo sfondo». E per chiarire il concetto è ricorso al delitto Matteotti: «Chi può negare che vi siano stati motivi politici? E ciò elide la rilevanza penale? io dico no».

«È una sentenza che riteniamo clamorosamente ingiusta e ingiustificata. Siamo convinti che in appello e in Cassazione ci sarà l’assoluzione nel merito. Decideremo se rinunciare alla prescrizione quando questa maturerà» ha commentato a caldo Niccolò Ghedini. Lo scontro tra accusa e difesa è ruotato intorno all’articolo 318 del Codice penale secondo la formulazione fatta nel 2012, in cui si parla di «asservimento» della funzione pubblica. I legali della difesa hanno sostenuto che non poteva essere applicato in quanto emanato in un periodo successivo ai fatti contestati. Secondo i legali di Berlusconi, Michele Cerabona e lo stesso Ghedini, e quelli di Fi, Franco Coppi e Bruno Larosa, sono state «ragioni essenzialmente ed eminentemente politiche» quelle invocate dalla pubblica accusa.

Per la difesa non ci fu invece alcun reato: i tre milioni consegnati all’allora senatore Sergio De Gregorio, uno dei quali al suo movimento Italiani nel Mondo, rientravano nell’ambito del finanziamento alla politica. De Gregorio, che con le sue dichiarazioni diede avvio all’inchiesta, ha già patteggiato un anno e 8 mesi di reclusione. Alla fine i giudici hanno dato ragione all’accusa, si è trattato di «un colossale investimento economico» per far cadere il governo che si reggeva, a Palazzo Madama, su una maggioranza di 158 a 156. «Operazione libertà» l’avevano chiamata.

L’ex cavaliere aveva anche provato a smontare il processo presentando un’istanza di insindacabilità alla Giunta delle autorizzazioni della camera: avrebbe dovuto presentarsi ieri in parlamento ma martedì ha deciso di ritirarla poiché era apparso chiaro che la sua tesi sarebbe stata bocciata, cioè che i voti di De Gregorio sarebbero stati coperti dall’insindacabilità dell’azione parlamentare e quindi dall’immunità. M5S pronti alle barricate e Pd non disposto al salvataggio, Berlusconi ha evitato di moltiplicare la sconfitta, nonostante Ignazio La Russa si fosse speso in soccorso, promettendo un’attenta valutazione.

L’indagine era cominciata grazie a tre interrogatori di De Gregorio. La presidenza della commissione difesa del Senato, ottenuta con i voti della destra, e tre milioni di euro sarebbero stati il prezzo pagato dall’ex premier per farlo passare dall’Idv a Forza Italia per fare cadere il governo Prodi: «L’accordo si consumò nel 2006 – ha raccontato – con il mio incontro con Berlusconi a palazzo Grazioli che servì a sancire che la mia previsione di cassa. Ho ricevuto 2 milioni in contanti da Lavitola a tranche da 200/300mila euro».

Affari e politica legano il leader di Fi a Valter Lavitola, ex direttore dell’Avanti!, faccendiere e imprenditore. A inguaiare Valterino una lettera ritrovata nel computer di Carmelo Pintabona, 20 pagine datate 2011 in cui elenca i favori che avrebbe fatto a Berlusconi: 500mila euro per distruggere Fini, l’impegno per comprare i senatori, la distruzione di foto dell’ex premier con alcuni camorristi. Lettera che è costata nel 2013 a Lavitola una condanna definitiva a un anno e 4 mesi per la tentata estorsione.